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Circuiti Culturali

Librino e lo Zen, tra urbanistica e antropologia

Incontro-dibattito a Villa Citelli

 
 
30 novembre 2008
di Fabio D'Urso
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"Facevo parte di un gruppo di ricerca dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales diretto da Gérard Althabe - un antropologo deceduto nel 2004, al quale sono debitore per molte delle intuizioni metodologiche che riprendo anche nel mio testo - che si interessava dei mutamenti a cui andavano soggette le banlieue francesi e più in generale le periferie europee. Lo Zen si presentava interessante innanzitutto perché era stato un quartiere intensamente mediatizzato. In più, mi rendevo conto, dopo le prime esplorazioni della letteratura, che non esistevano analisi né etnografiche, né antropologiche. E questo mi aveva abbastanza sconcertato".

Così Ferdinando Fava, a Catania, per iniziativa dei "Circuiti culturali" dell'Università, venerdì 28 novembre, ha raccontato come è iniziata la sua ricerca che lo ha condotto tra le strade dello Zen a Palermo. Dal lavoro a contatto diretto con "uomini e relazioni reali" è nato poi il volume intitolato "Lo Zen di Palermo - Antropologia dell'esclusione" (Franco Angeli 2008). Ne ha parlato alla Casa della Cultura in occasione di un incontro-dibattito dal titolo" Catania, Palermo e le loro periferie" insieme con Andrea Sciascia, docente dell'Università di Palermo e Giuseppe Dato, preside della facoltà di Architettura dell'Università di Catania, con un intervento dal titolo "Le parole, il cemento, gli uomini: lo Zen di Palermo e la produzione sociale della marginalità urbana".

Che progetto emerge da questo incontro? Ascoltando le parole di Andrea Sciascia sul rapporto tra gli spazi urbani a Palermo, e quelle di Giuseppe Dato sulla trasformazione urbana della città di Catania, dalla demolizione di San Berillo fino ai nostri giorni, in cui gli spazi urbani della città da nord a sud ovest continuano ad essere riempiti di edifici, sono emersi non solo i processi di trasformazione di queste due zone marginali come lo Zen e Librino, ma le dinamiche complesse di evoluzione di due città europee moderne: Palermo e Catania.

 "Si può analizzare la città di Palermo - così ha spiegato Sciascia - spiegando le differenze urbane, oltre quelle definizioni generiche che contribuiscono ad annullare le singolarità dei contesti". Così, mentre nella sua relazione ha spiegato le dicotomie tra le forme antiche e quelle moderne di Palermo, tra gli spazi aperti e quelli interni in tutto il suo contesto urbano, rivolgendosi al pubblico ha poi chiesto di sviluppare "una diversa consapevolezza per inquadrare e leggere le metamorfosi dello spazio urbano". La sua lettura inedita di Palermo e dello Zen ha voluto perforare il muro mediatico delle parole con cui lo Zen è stato raccontato.


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Con "le parole" degli abitanti dello Zen, Ferdinando Fava ha inteso raccontare la stessa città di Palermo: "La gente la voce l'ha. Il problema è che nessuno prende tempo per ascoltarla. L'atteggiamento del "Diamo voce ai senza voce" è di un'ambiguità politica ed etica impressionante. Io non ho avuto difficoltà a raccogliere storie e impressioni. Anzi, dopo quattro ore di conversazione, io ero sinceramente molto stanco e i miei interlocutori, al semplice cenno di un mio possibile congedo, mi dicevano: "Te ne vai già via?". C'è un grosso desiderio di comunicare; ma chi è che si prende la briga di ascoltare persone che agli occhi dei più sono residenti di una zona perduta, dei paria urbani? E quando dico che allo Zen è possibile instaurare legami significativi nel quotidiano, mi si levano contro una serie di critiche, come se volessi giustificare l'esistente. No, vuol dire riconoscere che anche nei contesti dove apparentemente è difficile vivere, si vive e si trova senso all'esistenza!".

Il "cemento" alla periferia nord di Palermo dove sorge lo Zen è stato portato a partire dal 1969, a Librino, nella periferia sud - ovest di Catania, invece arriva dopo il 1976. Lo ZEN (acronimo di Zona Espansione Nord) comprende due aree con diverse caratteristiche costruttive, che vengono chiamate"Zen 1" e "Zen 2" e i suoi fabbricati si caratterizzano per la loro struttura architettonica. La sua storia urbana è stata raccontata da Sciascia nel saggio dal titolo "Tra le modernità dell'architettura. La questione del quartiere Zen 2 di Palermo". In esso, l'autore palermitano compie un percorso complesso e problematico di storia urbana, fino all'attuale condizione di incompletezza dello Zen, "quartiere dormitorio". Il libro di Sciascia percorre i vari passaggi storici che hanno generato la questione dello Zen 2, ne analizza le cause determinanti, oltre la realizzazione parziale e il suo degrado materiale e sociale, fino ad arrivare alle motivazioni nel progetto iniziale di Vittorio Gregotti.

Per Andrea Sciascia, lo Zen, che negli anni novanta è stato ribattezzato San Filippo Neri, è "un progetto di modernità, un contenitore ideale per la società, "un momento fondamentale dell'avventura della modernità in Sicilia". E'la storia politica della città che lo ha contaminato per farlo diventare uno spazio di marginalità urbana e di degrado.
Ma oggi che cosa significa abitare allo Zen? A questa domanda risponde l'antropologo Fava, con il suo lavoro: "Abitare allo Zen significa inscriversi nella posizione più bassa della gerarchia sociale della città, andare ad abitare allo Zen è un sorta di outing sociale: per il modo di accedere all'alloggio (il mercato informale della casa - occupazione abusiva ), di utilizzare i servizi (allacciamento "ammucciuni" alla rete elettrica), per l'accettazione di subordinazione ( la contiguità con il cosidetto street crime, le gerarchie di potere interne). Lo Zen è una enclave sociale, di segregazione su una logica di classe, non è un ghetto, né un iperghetto o una banlieue in declino. La sua analisi, ciononostante, ci permette, di rilevare la maniera con cui Palermo s'iscrive nei mutamenti globali che marcano le trasformazioni delle grandi metropoli". "Il problema dello Zen non è lo Zen, ma la struttura socio-economico e politica della città negli ultimi cinquant'anni".

Lo Zen allora è l'interfaccia urbano che racconta la storia econonomica, sociale, architettonica di Palermo. Così come il caso Librino, città satellite, nasce con quel bisogno di case previsto dal Piano Regolatore Generale Piccinato per oltre settantamila abitanti di Catania. Ma gli abitanti della città hanno partecipato o hanno subito la progettazione e la costruzione del quartiere? Emblematico è quanto racconta Giuseppe Dato nel suo intervento "Periferie urbane e nuove zone abitative": "Con Giovanni Campo, negli anni settanta, studiavamo la zona di San Giorgio, a ridosso di Librino, e spiegavamo alla gente che la casa popolare era un loro diritto. Ma molti di loro ci rispondevano: "Noi la casa popolare non la vogliamo".


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Tutto il lavoro di Fava sullo Zen pone appunto l'accento sulla produzione del sapere "da dentro e dal basso": "Da dentro vuol dire andando là dove il fenomeno sociale si costruisce e nel momento del suo manifestarsi. Che non significa andare a ricercare l'intimismo delle relazioni, ma mettere in rilievo il 'dentro' del mondo sociale degli architetti, dei residenti, degli operatori sociali. E 'dal basso', ossia tenendo presente che il microsociale dello Zen materializza una posizione nella gerarchia sociale di Palermo. Gli urbanisti della pubblica amministrazione sono prigionieri dei problemi di scala. Loro vedono lo Zen 'dall'alto', e da lì il microsociale si perde . Propongo invece di osservare come i residenti di fatto reinvestono e attraversano le eventuali difficoltà spaziali del progetto realizzato".

La prospettiva di Fava è poi la stessa per altri studiosi che hanno lavorato su Librino. Giuliana Gianino ad esempio col suo lavoro "Librino: Un presente, per quale futuro" scrive: "In una ricerca etnografica, il ricercatore vive dentro il quartiere: vive i suoi tempi, gli spazi, sta a contatto con le persone". Il libro di Fava, e quello della Gianino, riportano così allo stesso problema che è la relazione con l'altro che abita e la relazione con il contesto urbano. "Non è più possibile separare l'oggetto di analisi dal modo in cui lo si apprende" - dice Fava -. "La mia presenza di ricercatore, mette in chiaro le proprie intenzioni, apre un 'taglio', uno spazio in cui si manifestano le regole sociali che governano questo spazio".

Sulle regole sociali e sulle dicotomie tra la progettazione e la realizzazione delle marginalità moderne dello Zen e di Librino sì è quindi concentrato tutto il dibattito, moderato dalla professoressa Sara Gentile, delegata ai Circuiti Culturali, che ha rilevato quanto siano importanti tutte quelle forme sociali e politiche che mettono in azione la trasformazione del Territorio. Esse pongono in essere delle rappresentazioni del cambiamento, a partire dalla soggettività di chi le attua. Un esempio è stato dato dalla testimonianza del lavoro di Antonio Presti, artista e imprenditore, che con la sua Fondazione ha fatto della rappresentazione del Bello, uno strumento di promozione del quartiere. Sono stati infatti proiettati alcuni dei suoi spot, girati a Librino, per promuovere l'immagine del quartiere da luogo marginale a parte integrante della città.

Mentre il professor Giuseppe Dato ha delineato la storia del quartiere all'interno della storia complessiva della città, passando dal Piano Piccinato a da quello Cervellati, l'intervento della professoressa Piera Busacca, responsabile scientifico del Lab Peat (Laboratorio per la Progettazione ecologica e ambientale del territorio) dell'Università di Catania è scesa nel dettaglio delle attività di questi ultimi anni. "Abbiamo ricominciato a lavorare dentro il quartiere - ha detto Busacca -, con l'intenzione di valorizzare tutti gli studi storici della nostra Facoltà e di entrare veramente a contatto con la gente che vi abita e con la cittadinanza attiva che vi opera. 'Catania Sud' è una città in fermento, piena di associazioni e di storie di costruzione sociale del territorio. In questa parte della città quest'anno abbiamo fatto un lavoro di rilevazione del territorio e di ascolto degli abitanti. Questo perché non si può più pensare di progettare e pianificare senza un ascolto reale della gente, che richiama la città alla responsabilità civile".