ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Notizie
Interventi

Università tra speranze, "ferite" e anticorpi


 
 
29 ottobre 2008
di Giuseppe Vecchio
universitaoccupata.jpg

L'autore è preside della Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Catania - L'intervento è stato anche pubblicato su La Sicilia di mercoledì 29 ottobre

Non è facile affrontare questi giorni convulsi di tensione nel mondo della scuola e dell'università, specie in una fase economica di grande difficoltà e incertezza, mantenendo equilibrio e facendo sopravvivere la speranza.

Vengono in discussione, in questo momento, gli elementi che, seppure in modo non sempre condivisibile, hanno garantito una prospettiva (forse una illusione) di mobilità sociale: da un lato, l'idea di un mercato capace di autoregolarsi, senza imporre sacrifici troppo pesanti in caso di correzione; dall'altro, l'idea di un sistema formativo che non richiede particolari responsabilizzazioni agli studenti, ai docenti, alla società.

I giovani si trovano dentro questa tenaglia e, in qualche modo, hanno bisogno di esprimere il loro disagio, forse, di gridarlo, di affermare, comunque, una presenza e un diritto di partecipazione che non possono essere sommersi dal disimpegno delle peregrinazioni notturne.
Non ha senso parlare, in questa sede, della crisi economica. Forse possiamo fare qualche riflessione sulla crisi nell'ambiente universitario e provare a vedere se ci sono processi virtuosi che possiamo attivare e circoli viziosi che possiamo recidere, da noi, prima di pensare alle responsabilità dei "soliti altri".

Provocatoriamente, mi permetterei di fare (e farmi) alcune domande.
Perché numeri sempre più significativi di giovani (o di famiglie) sono disposti a spendere cifre crescenti per consumi non necessari e per spese per alloggi per fuori sede, mentre succede la fine del mondo se si propone un incremento minimo dei contributi universitari? Perché i giornali trovano utile (ovviamente con il gradimento della platea dei lettori) parlar male dell'università? Perché tutti i governi, a prescindere dall'ispirazione, hanno applicato, dal 1994 ad oggi, un finanziamento regressivo (in termini reali e spesso anche monetari) dell'università?
Se sapessimo rispondere a queste domanda con una risposta unica (come probabilmente richiede il sistema di equazioni sotteso), forse avremmo fatto un passo in avanti.

Dopo aver proceduto alla revisione delle criticità dell'università, rispondendo univocamente a quelle domande, tuttavia, dobbiamo pur andare a vedere quanti e quali dei "soliti altri" dovrebbero fare revisione.

Facciamo alcuni esempi.

La riforma didattica. È vero che se facessimo un esame a molti docenti, anche di più giovani, molti risulterebbero convinti che i "descrittori di Dublino" costituiscono un secondario filone della pittura nordica. È anche vero, tuttavia, che se nessuno sa a cosa serve la maggior parte delle lauree di primo livello è anche perché la stessa Pubblica amministrazione dimostra di non saper che esistono e, pertanto, non le richiede per il proprio reclutamento. È possibile riscontrare importanti concorsi pubblici nei quali si richiedono, ancora oggi, le ormai inesistenti lauree in Scienze politiche e in Economia e commercio.

È purtroppo vero che da quindici anni discutiamo della riforma dell'accesso alle professioni, senza riuscire a definire un riparto delle competenze per la formazione e per la garanzia della qualità delle prestazioni.
È anche vero che in un sistema fondato sull'autonomia e sulla capacità e maturità di autogoverno dei protagonisti del sistema istituzionale specifico, chi doveva richiedere l'adozione dei criteri di qualità, verificarne l'applicazione e adottare le poche misure sanzionatorie (esclusivamente finanziarie), selettive e proporzionali, non l'ha fatto e propone, oggi, tagli (ancora una volta) solo finanziari, (ancora una volta) "a pioggia", come i finanziamenti del passato.

È vero, infine, che gli studenti che, in grande maggioranza, assistono passivamente alla crisi, non partecipano consapevolmente (ad un dibattito tra autorevoli candidati alle elezioni studentesche, nessuno aveva mai "incontrato" i "descrittori di Dublino"); sperano di chiudere alla meno peggio la parentesi universitaria, essi stessi avvertono, improvvisamente, uno straordinario interesse per contrastare il (supposto) blocco del turn over (che non c'entra niente con i pistoni rotanti) e la facoltà di costituire le università in fondazioni (che non c'entra niente con la scienza delle costruzioni).

Inviterei chi invoca la speranza di futuro dei giovani a fare uno sforzo per discutere, con loro e per loro, di tutti i problemi dell'università, specie di quelli che riguardano più direttamente le aspettative degli studenti e della società per un servizio pubblico adeguato ai tempi che viviamo e a quelli che potrebbero venire.

L'attacco sociale all'autonomia universitaria è veramente virulento.
È necessario, tuttavia, verificare se all'interno del corpo accademico ci sono gli anticorpi per reagire positivamente e, soprattutto, se non abbiamo ferite (forse di origine autolesionistica) che possono facilitare l'ingresso degli agenti patogeni.