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Notizie
Scuola Superiore di Catania

La guerra e la protezione dei civili

Seminario organizzato dal Laboratorio di ricerca per la Protezione dei Diritti umani della Scuola

 
 
10 marzo 2008
di Fabio D'Urso
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Quanto  mai attuale il problema della protezione dei civili nelle guerre contemporanee è stato al centro di un incontro che si è tenuto lunedì 10 marzo nell'aula magna della Scuola Superiore di Catania. A parlarne, con docenti e studenti della Ssc, sono stati alcuni autorevoli ospiti: il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio "Iustitia et Pax", il generale Vincenzo Camporini, capo di Stato Maggiore  della Difesa, il generale Fabio Mini, ex comandante delle forze della Nato in Kosovo e l'ex presidente del comitato internazionale della Croce rossa, Cornelio Sommaruga. L'evento è stato promosso dal Laboratorio di ricerca per la Protezione dei diritti umani della Scuola, diretto dal prof. Vincenzo Di Cataldo, docente di Diritto commerciale della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania, che ha moderato i lavori: cinque gruppi di studio composti da studenti di giurisprudenza e coordinati dal professor Antonio Cassese, docente di Diritto internazionale nell'Ateneo di Firenze, hanno per l'occasione affrontato e analizzato le questioni legate agli scenari di guerra ed alle situazioni drammatiche che ne derivano.

Dopo gli spunti offerti dai gruppi di studio, la questione è stata trattata dai vari relatori secondo differenti prospettive, legate alle problematiche che i diversi conflitti ingenerano per la vita delle persone, alla responsabilità nella difesa dei civili, alla questione etica, alle procedure della guerra ed alle azioni di difesa e di monitoraggio, al ruolo dei militari in generale al rinnovamento della sensibilità umanitaria all'interno dell'Esercito italiano. E ancora: c'è stata una grande attenzione degli allievi e dei relatori sul problema dei codici di autodisciplina per gli eserciti, sulla responsabilità nei luoghi della guerra, sull'obbligo di proteggere i civili poiché essi non solo sono vittime della controparte nemica, ma spesso vengono abbandonati a se stessi, nei momenti in cui l'azione di guerra è elusa o rimossa. Come dire che talvolta la complessità del quadro totale non aiuta a vedere la precarietà delle condizioni di chi subisce la guerra.  


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Da parole e testimonianze sono emersi aspetti della guerra del nostro tempo e riflessioni sulla memoria storica che è stata acquisita nel secolo scorso. "Nel mondo di oggi, la guerra - ha sottolineato il generale Mini - dal punto di vista legislativo è spesso rimossa". Il capo di Stato maggiore ha inoltre ricordato che "in quest'ottica le dinamiche dei conflitti etnici giocano un ruolo di causa importantissimo e che non può essere sottovalutato". Ricordando diversi episodi della sua esperienza alla guida dell'organizzazione umanitaria, Sommaruga ha parlato di conflitti e guerre a metà del secolo scorso, in cui ha rivestito grande importanza l'impegno delle organizzazioni non governative. Ha citato anche un lunghissimo incontro avuto con Fidel Castro, per tutelare i prigionieri dentro le sue carceri. Ma ha raccontato pure di giorni amari, come la fallita mediazione diplomatica con Saddam Hussein, episodio questo che ha riportato il pubblico alla riflessione sulla mappa attuale dei conflitti internazionali.

"Oggi, con il cambiamento della geografia mondiale a seguito della prima guerra del Golfo, il diritto umanitario - come hanno ricordato i relatori -, si deve confrontare con aspetti paradigmatici nuovi". La guerra tra parti vista nella sua asimmetria; la guerra in uno spazio geografico locale, intesa in modo drammaticamente totale; la guerra combattuta non più soltanto sui fronti, ma anche nelle città, negli spazi urbani dove la gente continua a vivere, e dove viene persino usata come scudo umano.

Guardando agli esempi di Iraq e Afghanistan, emerge la presenza di gruppi armati non statali, che combattono, e che divengono, spesso, una controparte di cui non si può non tenere conto, nei conflitti e nei campi di battaglia di oggi: quelli che poi sono chiamati anche combattenti legittimi o illegittimi, secondo il "diritto di guerra". Il problema della protezione della gente che non fa la guerra, ma la subisce pesantemente, è stato sviscerato, pertanto, in tutti i suoi aspetti. I civili sono - è stato detto negli interventi dei gruppi di studio - la parte debole, indifesa, umiliata, e mai ricordata abbastanza. Ecco perché riveste tanta rilevanza il ruolo delle organizzazioni non governative, che prestano assistenza e tentano di monitorare luoghi e persone. Tra le proposte avanzate anche quella di istituire un fondo internazionale per l'indennizzo dei civili.


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Il "luogo" d'impegno del diritto umanitario è appunto la guerra, soprattutto quando con essa le persone rischiano di non essere considerate tali. "Lo capiamo molto bene quando pensiamo alle prigioni di guerra, ai campi di concentramento, ai luoghi d'internamento del nemico". Sono i luoghi dove il diritto stenta a essere tale. In questo convegno è stato ricordato dal generale Mini "molte battaglie contro i maltrattamenti hanno avuto un esito positivo anche per il ruolo attivo degli alti gradi dei vari eserciti". Ma la guerra rimane anche il "luogo" nel quale si ha possibilità di fare esperienza di responsabilità verso l'umanità e le persone. Le commissioni d'inchiesta internazionali sulla guerra forniscono tutta la bibliografia di cui abbiamo bisogno per capire meglio.

Sulla condizione drammatica dei civili nelle guerre dei nostri giorni ha detto parole di grande attenzione e umanità il cardinale Martino, che ha ricordato come la prospettiva della Chiesa e della sua dottrina sociale "vuole illuminare ogni uomo sulla questione etica".
"La dignità di ogni persona è l'annuncio sostanziale della dottrina sociale della Chiesa - ha detto il presidente del Consiglio Iustitia et Pax -. Ecco perché in questi anni tanto è stato fatto per la formazione dei cappellani militari, in particolare sulla comprensione del diritto umanitario. La Santa Sede mostra tanta sollecitudine nella risoluzione dei conflitti e nel dialogo tra le diverse religioni poiché azione diplomatica e umanitaria sono due strumenti per la salvezza di ogni uomo".

Il cardinale ha parlato agli studenti della sua memoria pastorale, e ha voluto ricordare anche che "la pace ha come 'secondo nome' l'impegno per il progresso dei popoli". E che questo è il tempo in cui "con ogni forza bisogna dire di no alla guerra e al terrorismo, ossia una nuova forma di guerra totalmente diversa da quella che avevamo finora conosciuto". "Oggi non si può dire che esiste una guerra giusta - ha spiegato a margine dell'incontro il prelato -. Le armi sofisticate che derivano dalle nuove tecnologie, molte volte non rispettano la proporzionalità dell'offesa da riparare. E' evidente, logico e legittimo il dovere della difesa: come quando la vita di una persona è minacciata, così anche uno stato, quando viene aggredito, ha il dovere di farlo. Ma prima di tutto bisogna cercare, attraverso i canali della diplomazia, di negoziare: si deve fare tutto quello che è possibile, attraverso questo potente strumento".
"Pensando ai sedici anni che ho trascorso alle Nazioni Unite, in veste di diplomatico della Santa Sede, posso testimoniare che il Vaticano si è sempre impegnato perché le guerre non si facessero. La mia memoria di quarant'anni di servizio nella diplomazia pontificia mi porterebbe a raccontare tanti episodi su questo". Un riferimento per tutti, la "Populorum Progressio" di Paolo VI: "Un'enciclica meravigliosa - osserva il cardinale Martino-, che ci dice che la pace non è solo assenza di guerra, ma lo sviluppo pacifico del genere umano. Quello che dicono i papi, lo dicono profeticamente. Perche si realizzi ciò che è difficile, ci vuole però molta azione".