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Il "viaggio in Cina" di Stefano Cammelli

Lo storico bolognese ai Benedettini per l'annuale "Lezione Nino Recupero"

 
 
21 dicembre 2007
di Fabio D'Urso
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Per far convergere memoria e impegno di elaborazione storiografia attuale, a ricordo della vita del professor Nino Recupero, martedì 18 dicembre alle 18.30 al Monastero dei Benedettini, è stato invitato a tenere una lezione dal titolo "Il potere politico e l'arte del governare nella Cina contemporanea" lo storico Stefano Cammelli, docente dell'Università di Bologna.
L'incontro organizzato da Circuiti culturali, è stato promosso in collaborazione con le Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature straniere e Scienze politiche, e inoltre con i Dipartimenti di Analisi dei processi politici e sociali, Filologia moderna, Scienze umane, Scienze della cultura dell'uomo e del territorio, Studi archeologici filologici e storici, Studi europei e Studi politici. Tra i docenti presenti: Roberto Osculati (Facoltà di Lettere) e Rosario Mangiameli (Facoltà di Scienze politiche). Coordinatore il professor Luciano Granozzi (Facoltà di Lingue), delegato ai Circuiti culturali.
Le "Lezioni Nino Recupero", seppur diverse tra loro, per contesto e periodo storico, hanno permesso, in questi tre anni, di riprendere interessi e orientamenti ai quali il professor Recupero ha dato un importante contributo nel periodo in cui insegnava Storia Moderna alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania. Mentre la lezione del 2005 è  stata tenuta da Giovanni Miccoli dell'Università di Trieste su "L'Italia cattolica e il fascismo", quella del 2006 è stata tenuta da Paolo Macry dell'Università degli Studi Federico II di Napoli su "Il fenomeno del crollo dello Stato nell'Europa del 1917/18".
Con le "Lezioni" a lui dedicate si è voluto ricordare soprattutto la passione per la storia sociale di Nino Recupero, e le sue qualità di organizzatore culturale negli anni Sessanta e Settanta: una stagione intensa, fitta di incontri, discussioni, letture collettive, nuove prospettive di ricerca. Nino Recupero aveva insegnato anche a Messina, a Trieste e infine a Milano. Accanto alla sua attività di ricerca, al suo lavoro di storico, egli non aveva mai tralasciato gli interessi artistici, cinematografici e letterari, di anglistica e americanistica, ma anche di sociologia e antropologia. La sua passione per la democrazia effettiva era nata da giovanissimo dalle prime considerazioni sui quartieri poveri di Catania. La sua vita fu segnata da rigore etico e lucidità analitica.
Tra i suoi studi: quello degli anni "60 sui movimenti e i conflitti  sociali, le forme del potere e la cultura che le sostiene, quello del "68 sulle trasformazioni della istituzione parlamentare inglese, quello del 78  in cui si poneva il problema dell'uso della storia orale, lo studio sulla storia del Parlamento Italiano. Negli ultimi anni aveva ripreso a ripensare la società del Meridione e si era impegnato a fondare una rivista basata sulla necessità di stabilire uno scambio fra uguali tra le due sponde del Mediterraneo.


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Quest'anno a onorare questa memoria è stato chiamato Stefano Cammelli, storico contemporaneista dell'Università di Bologna, oltre che musicologo ed autore di alcune opere di narrativa (ricordiamo Sfida alla Cina pubblicato nel 2006). Numerose le sue pubblicazioni scientifiche: Al suono delle campane. Indagine su una rivolta contadina: i moti del macinato, Franco Angeli (1982) e i due recenti saggi: Storia di Pechino e di come divenne capitale della Cina, Il Mulino (2004) e Ombre cinesi. Indagine su una cultura che volle farsi nazione, Einaudi (2006). Segnaliamo inoltre: La "occidentalizzazione" della Cina: riflessioni su Cina, modernizzazione e nazionalismo cinese (Il Mulino, 3 / 2006).
Il tema della lezione del professor Cammelli è stato il potere politico cinese, le modalità dell'arte del governare, la forma storica che ha assunto il partito comunista cinese dagli anni Cinquanta sino ad oggi: una lezione sulla comparazione della forma teorica del potere politico cinese e la sua prassi storica, sulla modalità del suo esercizio, sul suo rapporto con l'Occidente. "Ombre Cinesi", ovvero fotografia  sulla sfuggente Cina. Ombre cinesi, la consapevolezza storica che non esiste solo il mito della grande muraglia di pietra ma anche una grande muraglia culturale e  linguistica che occorre decodificare.
Dice il professore Granozzi: "Rare in Italia, le ricerche storiografiche sulla Cina: ci vogliono degli atleti capaci di confrontarsi con queste barriere". Cammelli ha dato un quadro sulla politica contemporanea cinese ripercorrendo le fonti italiane degli anni Sessanta sul "Grande balzo in avanti" e il giudizio della sinistra italiana, gli equivoci alimentati da intellettuali e stampa, sull'esperienza della "rivoluzione culturale". Una denuncia a posteriori sulla rimozione  del sottofondo violento di quegli avvenimenti, guardando alle vite umane rimaste travolte, al complesso processo di ristrutturazione delle campagne e della industria che determinò una catastrofe umanitaria che provocò da venti a quaranta milioni di morti.
Occorre fare i conti col passato, con la cecità nell'osservare la situazione cinese, e sapere guardare bene ora, che l'economia della Cina influenza fortemente le sorti dell'Occidente. Parlare della Cina significa quindi, riferirsi a questo presente, alla sua forza dentro il  mercato internazionale, alla dimensione economica ma anche alla forma del potere politico cinese. Serve una radiografia delle sedimentazioni storiche della Cina, delle trasformazioni dei paradigmi della civiltà cinese e del potere politico. Abbiamo a che fare con una civiltà millenaria, che continua a fondare la legittimazione politica a partire dal significato tradizionale di un "mandato celeste". Il meccanismo del potere cinese ­ ha sostenuto Cammelli ­ si basa sulla millenaria forma imperiale. Il Partito Comunista Cinese, oggi, non essendo più proponibile come centro morale della società cinese, opera dopo aver rinunciato a promuovere la sua immagine fuori dalla Cina, comunicando al mondo una forma moderna e "occidentale" della paese.
Nonostante ciò, esso, nella rappresentazione collettiva del popolo cinese, continua ad occupare il centro morale del potere continuando ad assumere le vesti e il ruolo non di "rappresentante del popolo" ma di "guida", "guru", "grande timoniere" del popolo. In questo modo "fu operata una spaccatura nella società cinese degli anni Cinquanta che diventò essa  stessa arte e forma del governo". Spiega Cammelli: "Se il partito è centro morale della nazione, essere fuori dal partito è essere nemici della morale; se il partito è con le masse, esserne contro significa essere contro la masse; se il partito è il futuro essere contro significa essere conservatori". Questa è quinta essenza dei traumi subiti dalla popolazione cinese. La rivoluzione di Mao fu invece salutata da noi come culturale, intellettuale, dialettica, sottile ed energica, pacifica. In Italia non si era voluto capire, non si era voluto vedere. Questo risulta "un problema storiografico la cui complessità va molto oltre  la ricerca di scusanti. Simon Leys ricordò che le cose non stavano affatto così. Inutilmente osò ricordare dalle colonne dei giornali per cui scriveva - tra cui Le Figaro - che questa rivoluzione non degenerava in violenza ma era nata violenta; era volontaria
disgregazione della società cinese. Oggi sappiamo che la Rivoluzione culturale costò quasi 1.500.000 morti".
Che cosa pensa, il professore Cammelli del protrarsi dei silenzi? "Nemmeno oggi il problema è completamente superato. L'oramai riconosciuta moralità rivoluzionaria del partito, il partito come centro del "moral order" della società cinese, ha comportato che i suoi sbagli possano essere anche dimenticati, o rapidamente accennati. Ma, soprattutto, che essi subiscano una sorta di dequalificazione: così i morti nelle tre violentissime campagne lanciate tra il 1950 e il 1952 possono essere precisati o meno, ma non inficiano, nella sostanza, la bontà dell'intervento del partito nel ripulire il paese da corruzione e altro. Non ci si domanda più se le stragi di massa nelle città cinesi all'indomani della liberazione fossero legate alle necessità della guerra di liberazione stessa, né in che modo il violento scontro sociale nelle campagne fosse legato alla collettivizzazione in sé.
Perché ancora una volta quei contadini, opponendosi, avevano in qualche modo messo in discussione la centralità morale del partito, che nessuno sembrava nemmeno lontanamente volere mettere in discussione".


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Qualcosa sembra cambiato in questi due ultimi decenni. Di colpo da tanti reportage è scomparso il Partito Comunista Cinese: si parla sempre, continuamente di Cina. Ma sul Partito Comunista Cinese e su come esso conduce la nazione è sceso un silenzio quasi tombale". Cosicché la Cina: "Viene adesso descritta come una società indirizzata verso una modernità che è la società stessa a inseguire in modo quasi autonomo. La genialità, le risorse individuali di tanti quadri maturati all'estero, la collaborazione di quadri dell'amministrazione periferica e statale, spianano le porte a collaborazioni - ad ogni livello - segnate dal leit motiv che il Partito non conta più così tanto e la società cinese può andare avanti senza crearsene un problema". Chi ha dato l'allarme sono stati da New York Doug Guthrie e Tony Saich, Andrew Nathan e il giornalista Bernstein dalle pagine dell'Herald Tribune. E Carsten Holz da Hong Kong dalle pagine del Far East Economic Review. Scrive Cammelli: "Solo una colossale ignoranza di Cina può consentire valutazioni di questo tipo. Il Partito Comunista Cinese ha ormai da oltre sessanta anni una leadership totale sulla società cinese".
Ma qual è il nuovo contesto del Partito Comunista Cinese? Esso si è sempre più consolidato, ha acquisito un ampio controllo sulla società civile, ha potuto concedersi un cambio generazionale senza precedenti nel Congresso del 2002. In definitiva ha allargato, in questi ultimi dieci anni, la propria area di controllo alla stampa estera e al luogo per eccellenza della libertà comunicativa, il web. Nel frattempo, dal punto di vista internazionale, è avvenuto un sostanziale oscuramento dei dati di bilancio delle aziende cinesi. Questa analisi trova "elementi di sostegno e di coinvolgimento in quello stesso Partito Comunista Cinese" le cui notevoli capacità sono testimoniate dalle performance di questi ultimi decenni, dal controllo che ha acquisito sulla società in modo inimmaginabile.
I nuovi leaders sanno che ­ dopo massacro di Piazza Tienanmen(1989) -  la rappresentazione del partito comunista come centro morale della società per molti decenni ancora non sarà più proponibile in Occidente. E allora "nascondi la tua abilità e vivi  nell'ombra". Nasce da questa consapevolezza l'invito di Deng Xiaoping a scomparire, nascondersi, lavorare in silenzio e nel concreto. "Giusta o sbagliata" che fosse la repressione di Tienanmen, essa è stata pagata con un prezzo altissimo, il mandato morale a governare è andato perduto non di fronte al paese, ma di fronte al mondo intero".
Qual è dunque il giudizio sulla natura del potere cinese oggi? "E' forse giunto il momento ­ conclude Cammelli - di ringraziare e rispedire a casa quelle legioni di esperti di economia che - come i comunisti degli anni '60 - hanno veduto solo quello che è stato loro mostrato. Non sono stati corrotti, non sono stati comprati, non sono nemmeno in malafede: non tutti.
Ma il potere cinese e i rapporti con la Cina richiedono altre abilità, altre competenze. Le Business School hanno già fatto tutto il danno che potevano fare". Laddove invece:  "aprire una nuova pagina nella conoscenza della Cina significa riportare al centro della riflessione il dibattito politico,  storico e filosofico arricchito dalla consapevolezza degli errori fatti dai comunisti negli anni '60 e dagli economisti oggi".