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Circuiti culturali

Garibaldi e il suo mito

Lezione del prof. Giuseppe Barone sulla costruzione dell'immagine pubblica dell'Eroe dei due mondi

 
 
11 dicembre 2007
di Fabio D'Urso
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A Catania, nel 1862 era stato Mario Rapisardi a scrivere la sua epigrafe: "A Giuseppe Garibaldi che la notte del 18 agosto 1862 pronunziava da questa casa le storiche parole «Roma o Morte» il popolo catanese dedicava questa lapide". Questa è una delle mille e duecento tra quelle che ci sono in Italia. E che ci attesta che la sua memoria ha a che fare con la costruzione dello stato italiano dove viviamo. in questo paese che una inchiesta di questi giorni sul New York Times definisce "infelice, depresso". Con mille difficoltà. "Questo paese che - con le parole del professore Giuseppe Barone - avrebbe bisogno di nuovo Risorgimento".

La costruzione della storia italiana è stata il cuore della lezione del professore Barone all'Auditorium dei Benedettini, martedì 11 dicembre. Il seminario dal titolo "Il pubblico di Garibaldi"è stato promosso dai Circuiti culturali dell'Ateneo catanese.

"Voglio fare tesoro di questa lezione, ma anche della presenza di docenti e studenti con cui in questi anni ho condiviso tempo e lavoro, in questa casa comune che è l'ateneo catanese". Dopo i saluti del rettore Antonino Recca e del prorettore Antonio Pioletti, il pubblico ha potuto assistere all'intervento musicale dell'Ensemle Calamus che ha eseguito l'inno di Garibaldi: "non è detto che le generazioni nuove lo abbiano già ascoltato".

Il professor Barone, coordinatore del dottorato di ricerca in Storia contemporanea ha svolto questa lezione di storia in merito alla pubblicazione del libro della storica inglese Lucy Riall dal titolo"Garibaldi è l'invenzione di un eroe". Tra i presenti c'è anche il professore Rosario Mangiameli. Coordinatore dell'incontro, il professore Luciano Granozzi, delegato per i Circuiti culturali.

"Garibaldi, così tenuto presente dalla storiografia europea, sembra che qui in Italia, non se la passi molto bene". Comincia così il relatore, poi continua: "la sua figura e il mito politico sono invece alla base dell'unità d'Italia. Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi in Italia ci sono state tante polemiche, come quella della Lega al Parlamento. E poi la polemica l'abbiamo fatta anche noi, come attesta la stampa, in Sicilia riprendendo temi che erano proprio del deleggitismo borbonico. Erano loro che lo descrivevano come un brigante, che saccheggiava e requisiva beni e sostanze dei poveri contadini. In questo sforzo di delegittimazione c'è stata molta strumentalizzazione politica ideologica".

Il professore Barone rivolgendosi agli storici che sono nella sala dice: "Noi come storici abbiamo il compito di inquadrare gli eventi del passato, non vogliamo seguire questo revisionismo che si è scatenato in questi mesi. Noi dovremmo fare autocritica perché dagli anni settanta ci siamo dimenticati del Risorgimento. C'è stato un processo di dememorizzazione collettiva; abbiamo preferito una lettura del Risorgimento capovolto. Lo abbiamo pensato, con le parole di Gramsci, come una rivoluzione passiva senza partecipazione popolare, come una sorta di gioco delle parti fra i liberal moderati e una soluzione monarchica fortemente conservatrice. Negli anni ottanta è venuta la storia sociale,e sembrava un vetero storicismo ritornare a pensare alla storia di personaggi singoli, e dei nodi politici che ne erano il contorno. Invece l'ha fatto una storica inglese che sa scrivere e divulgare bene".

Parla del compito dell'università, rivolgendosi al prorettore, il professore Antonio Pioletti: "su questi temi dobbiamo impegnarci molto, in vista dei appuntamenti importanti dei prossimi anni: nel 2008 i sessanta anni della Costituzione repubblica, nel 2010 l'anniversario della spedizione dei mille, l'anno dopo le celebrazioni dell'unità d'Italia".


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Infine rivolgendosi ai ragazzi, richiama l'attenzione sul personaggio di Garibaldi: "L'Italia si è fatta dalla Sicilia, dal sud. Garibaldi, il generale dalla camicia rossa è stato il protagonista dell'unità d'Italia: Come è crollato una stato? E come ne é nato un altro? Proprio oggi in cui si parla tanto di un nuovo risorgimento, è molto importante ritornare a riflettere su questi temi".

Del personaggio Garibaldi di questi tempi si sono occupati gli storici inglesi. Come Lucy Riall, professore di Storia al Birkbeck College dell' Università di Londra che ha scritto il volume "Garibaldi e la costruzione del suo mito". Per la storica inglese non è novità occuparsi di cose italiane di fine mezzo ottocento. La Ryall, che ha compiuto i propri studi presso la London School of Economics e la Cambridge University, annovera tra le sue pubblicazioni anche "La Sicilia e l'unificazione italiana" (Torino 2004) e "Il Risorgimento. Storia e interpretazione Saggi. Storia e scienze sociali". In Italia l'ha pubblicata per lo più la casa editrice Donzelli.

Per capire bene come si sia occupata di Garibaldi in effetti è interessante andare a leggersi i suoi lavori precedenti, che esprimono il contesto storico al lavoro sul mito di Garibaldi. Ad esempio quello sulla Sicilia e l'unificazione italiana. In questa opera, occupandosi della situazione storica della Sicilia già molto prima dell'impresa dei Mille, e quindi comparando il sistema dei Borboni con quello attuato subito dopo l' annessione dell'isola al Piemonte, spiega che la dittatura di Garibaldi «puntò a unire la popolazione attorno all'iniziativa nazionale», varando riforme "popolari" e avviando processi di "normalizzazione", ma si trovò ad affrontare molti dei problemi che avevano causato il crollo del governo borbonico.

Risulta fondamentale anche il testo sul Risorgimento: fase cruciale di gestazione dell'Italia contemporanea, nella memoria collettiva di molti italiani è percepito come un periodo su cui non è più necessario interrogarsi, oppure, all'opposto, come un dato da rimettere in discussione quanto alla sua epica tradizionale: l'eroico risultato delle gesta di un pugno di audaci - Garibaldi, Mazzini, Cavour. - che spezzarono il giogo straniero finendo immortalati nella toponomastica di tutte le città d'Italia. Ai più, quegli eventi appaiono legati da un percorso lineare quanto ineluttabile. Invece, l'incertezza, l'azzardo, il rischio segnarono tutta l'avventura risorgimentale; molti in Europa, ancora all'indomani della proclamazione del Regno, sarebbero stati pronti a scommettere sul fallimento dell'impresa (e dello Stato). In realtà, le rivoluzioni risorgimentali dal 1820 al 1860 sconvolsero il sistema politico creato dal Congresso di Vienna, avviando tra i ceti dirigenti, e in parte anche tra le classi popolari, quel processo di «costruzione della nazione» che avrebbe gettato le fondamenta dello Stato italiano. Fu un processo che si sviluppò fra mille limiti e difficoltà: la rottura fra moderati e democratici; la presenza dello Stato della Chiesa come fattore destabilizzante dell'unità appena ottenuta; il malcontento sociale, l'instabilità politica, l'endemico stato di rivolta delle campagne; un assetto assai tradizionale dei rapporti di produzione; e non da ultimo la presenza di un sistema economico geograficamente molto squilibrato.

Quale è l'originalità invece di questo libro della Riall su Garibaldi e la costruzione del suo mito? "La storica inglese - evidenzia il professore Barone - mostra come sia stato proprio Garibaldi ad essere protagonista del suo mito di fondazione. Garibaldi capisce gli elementi della comunicazione della meta ottocento, che sono i nuovi mezzi di comunicazione: la stampa, la fotografia, il telegrafo. Capisce come una guerra non solo va vinta , ma anche mediaticamente raccontata. E per questo si porta con se giornalisti, artisti, pittori nell'impresa dei Mille. Poi successivamente alla sua morte , esso è stato elaborato come riferimento politico della costruzione dello stato in Italia".

Garibaldi e la comunicazione del suo mito. Garibaldi con la spedizione dei Mille mette in movimento un processo di comunicazione delle proprie imprese attraverso i suoi volontari, l'eco dei contatti e dell'opinione pubblica internazionale. L'impresa dei mille è raccontata, a partire da questo processo di rete con grande cura.Tante lettere ai giornali italiani, tanti intellettuali al seguito. Dumas ad esempio scrive delle sue battaglie in Sud America mentre Garibaldi si trova a Palermo nel luglio 1860. Garibaldi stesso continua a scrivere per creare la sua rete, di paese in paese, lavorando a partire dai diversi livelli di comunicazione, dai diversi linguaggi, a seconda della persona a cui si rivolge: borghesi, politici, contadini, preti. A questi ad esempio gli chiede di fare il vero vangelo. A Napoli, è tra la gente, durante la festa per la liquefazione del sangue di San Gennaro. Conosceva e usava tutti gli archetipi della sensibilità popolare. Il suo compleanno festeggiato mentre era a Palermo, Dittatore della Sicilia, fa capire quanto lui sia stato accorto regista della costruzione del suo mito.

Semplificando possiamo qui dire che la costruzione dello stato è avvenuto utilizzando anche e sopratutto il suo mito già elaborato dalle collettiva, dagli scrittori, dalla sua memoria e i dai suoi romanzi. Per questo lui è cosi ha sostanzialmente fatto l'Italia più del Re, di Cavour e di Mazzini, che poveraccio, è morto perseguitato dallo stato.

Ancora semplificando ricordiamo che Garibaldi,è stato anche scrittore del popolo, e per il popolo. Che scrive non solo le sue memoria, ma più di venti romanzi. C'è poi il Garibaldi politico oramai fuori dal sistema che pure aveva contribuito a fare nascere. Che vuole i lavori pubblici e i parlamentari a pane e formaggio. Che fa polemica con Cavour per la soluzione moderata e conservatrice dell'Italia unita. Che accusa la destra storica e conservatrice. E infine poi c'è il suo corpo, alla fine della sua vita pieno di acciacchi e di dolori. Lui, leader democratico, e per un momento dittatore di un isola, consumato dalle lotte e dai reumatismi. Per il suo corpo aveva chiesto la cremazione: il suo ultimo atto di sfida contro il papa. Ma la politica non glielo consente, per questo il suo corpo non viene cremato, ma addirittura imbalsamato come un santo dello stato.

Da morto servirà più che da vivo per costruire quel Pantheon di eroi, insieme a Mazzini, Vittorio Emanuele, Cavour, in funzione dell'unità italiana. Serve da morto, nel momento in cui l'unità d'Italia si fa attraverso la cultura e la costruzione del disegno letterario che unisce idealmente l' Italia di Dante e Petrarca con quella di Manzoni. La memoria di Garibaldi dopo la sua morte, è manipolata dalla politica di destra e dalla storia . La costruzione del suo mito di Garibaldi, dopo la sua morte passa anche attraverso la sua famiglia, a partire dai figli, Menotti e Ricciotti Garibaldi. Eppure tutti questi elementi hanno creato quel vocabolario, quel linguaggio comune che ha creato il suo mito e ha reso unito il nostro paese.


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E' davvero una difesa appassionata quella professore del professore Barone: " Noi stiamo ritornando sul Risorgimento, di cui ci eravamo dimenticati; per ritornare alle nostre radici, del nostro essere italiani; per capire come l'Italia unita abbia accesso il cuore e le passioni degli europei e degli americani. Garibaldi è amato in Gran Bretagna, è noto negli Stati Uniti per avere lottato contro i dittatori sud americani. Egli ha acceso le passioni di tutta Europa. Garibaldi è l'Italia che si fa, con una operazione che mette insieme diplomazia, coraggio, guerra, marketing, pubblicità, consenso popolare".

E' una questione di consapevolezza storica: "Questo paese che è diventato uno a partire dalla sua azione. L'Italia è il più grande successo di costruzione di uno stato nell'Europa del diciannovesimo secolo, prima della unificazione tedesca. Dobbiamo ritornare a queste nostre radici, poiché abbiamo un credito straordinario dal punto di vista internazionale. Non ci curiamo dei beni culturali, della storia, delle persone. Per fortuna ricominciano i libretti sulla sua persona. In libreria ne ho trovato uno di un giovane storico.."Garibaldi fu ferito".

Il cuore della lezione del professore: Dobbiamo pensare alla storia del nostro paese, dentro la più grande comunità che è l'Europa? Dentro una più grande comunità dei diritti e della democrazia su scala mondiale? La globalizzazione cancella le differenze ma ci richiama ai temi dei simboli originali delle nostre idee. "Si può essere nazionalisti, senza essere di destra? Essere amanti del proprio stato e sentirci europei. Garibaldi è noto in tutto il mondo. Attraverso di lui, possiamo pensare come eravamo, e come abbiamo fatto l'Italia. e come siamo riusciti a far meglio il nostro paese. Come si costruisce uno stato ? Con le politiche virtuose e miti di fondazione e la capacità di creare tradizioni? Un tempo l'Italia e stata fatta costruendo le ferrovie, le strade, scuole facendo la riforma agraria: queste opere vanno ricordate. A noi spetta un compito pedagogico: ritornare al passato serve per capire il presente e progettare il futuro".

La memoria di Giuseppe Garibaldi "tra luci e ombre"è stato appunto oggetto del dibattito con il pubblico in sala. Le luci: uomo di azione dei due mondi, nel quadro del Risorgimento Italiano. La sua capacità di sollevare le folle e alle sue vittorie, le trionfali elezioni politiche, il trionfo che gli venne tributato a Londra nel 1864. Poi ci sono anche le "ombre", che permettono la visualizzazione dei chiari scuri: le sconfitte dell'Aspromonte e Mentana che lo opposero ad una parte rilevante dell'opinione pubblica italiana, oppure i fatti di Bronte in Sicilia.

Lucy Riall mette infatti il punto appunto sul personaggio, sulla figura umana e politica di Garibaldi, con l'intento di discernere quanto vi sia di reale nelle gesta del cosiddetto "eroe dei due mondi" e quanto invece la sua figura sia stata oggetto di una vera e propria costruzione politica.

Il Garibaldi storico che emerge dall'opera di Lucy Riall è appunto l'autore del proprio mito, il Politico che sa parlare e usare il linguaggio del popolo, il creativo militare con la capacità di creare azione e di animare i cuori di chi lo segue. Eppure limpido appare come egli sia apparso un uomo d'azione di lotta e non di governo, un partigiano della rivoluzione per la rivoluzione, un democratico con i contadini. Era appunto protagonista di questa elaborazione collettiva, e per questo Garibaldi può essere a buon diritto considerato un personaggio del popolo rivolto al popolo. Nel libro Garibaldi è infatti ritratto come uno spontaneo, con uno spiccato senso della realtà, con una semplicità dei modi , del corpo e degli abiti che indossava. Ruolo, esteriorità, e riflessi del se che gli hanno permesso, in maniera netta di contrapporsi al clima di compromesso imperante, allora come oggi, sulla scena politica. E poi anche questa mancanza di calcolo politico, che a lungo termine ha alimentato la creazione del culto di Garibaldi e ne ha fatto un fenomeno affascinante e potente.

«Il personaggio di Garibaldi - scrive Lucy Ryall - con il suo mix di romanticismo e radicalismo, anticipa e aiuta a formare una nuova e più spettacolare tecnica di comunicazione politica, che si avvale di ogni possibile artificio, anche di quelli un tempo riservati alla sola letteratura o al teatro, per trasformare un uomo in un simbolo capace di incarnare le aspettative di un popolo come quello italiano, che attraversava in quel periodo la sua più profonda crisi identitaria, sociale, religiosa e politica».

Poi fa il punto sul linguaggio storico e sul linguaggio della corporeità del personaggio: "La debolezza politica di Garibaldi fa parte del personaggio: dopo la sua sconfitta politica e il suo ritiro a Gaeta,da saggio, da uomo che ha dato alle sue idee una impronta ancora più radicale, nell'Italia moderata e conservatrice". Questa debolezza, questo suo corpo pieno di acciacchi, è anche un elemento mediatico per eccellenza. Che è servito a formare questo suo mito. Lui, che con tutta la sua vita aveva mostrato nei due mondi, quell'idea positiva dell'essere italiani. Lui che lottando aveva costruito il mito di se dentro l'identità collettiva del popolo italiano. Dopo di lui gli italiani non sono più vigliacci. Ecco qui il senso dell'impresa dei Mille, il popolo in armi, la nazione armata. Con la sua vita ha fatto un Italia che non c'è stata se non nella rappresentazione collettiva, l'Italia che è stata nella sua forma storica, e quella che sarà per il fatto di essere ancora un valore per tutti gli italiani.

Quest'Italia che ha fatto Garibaldi è una nazione che va ancora studiata dalla nuova storiografia. E' un' Italia che ha nazionalizzato con debolezza i suoi italiani, ma che l'ha fatto in condizioni estreme. Un Italia senza ferro, carbone, petrolio. Anche se qualcheduno potrebbe dire che in Sicilia c'erano le miniere di zolfo.