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Pari opportunità

Il mio nome non è Wendy

Presentato ai Benedettini il volume scritto dalla sociologa Paola Monzini sulla storia di una nigeriana che è riuscita ad affrancarsi dai vincoli della prostituzione

 
 
30 novembre 2007
di Fabio D'Urso
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Ancora un incontro per raccontare le donne organizzato dal Comitato Pari opportunità e dai Circuiti Culturali dell'Università di Catania e dalla Facoltà di Lettere e filosofia, per rendere visibili i diritti delle donne e le forme estreme di violenza contro di esse, che fuoriescono dai piani marginali della società italiana.

Nei giorni che hanno visto l'approdo in Consiglio dei ministri del disegno di legge sulle «norme in materia di contrasto della prostituzione», con l'obiettivo di colpire il racket e la cosiddetta "tratta delle schiave", è stato presentato, martedi 27 novembre, al Monastero dei Benedettini il libro "Il mio nome non è Wendy": autobiografia di una donna africana coscritto da Wendy Uba con Paola Monzini, sociologa, esperta dei fenomeni che hanno a che fare con la legalità, con l'acquisizione della cittadinanza, con la tratta "post umana" delle donne. Sui contenuti del volume si sono confrontati, in questa occasione, Pina Mendorla, docente di Psicologia della Facoltà di Lettere, Antonella Abbatecola, sociologa dell'Università di Genova, Luciano Granozzi, delegato ai Circuiti culturali e Rita Palidda, presidente del Cpo dell'Ateneo catanese.

E' toccato a Mendorla presentare l'incontro nel contesto dei percorsi dell'Ateneo. Ha ricordato così l'incontro precedente organizza dai Circuiti Culturali e da Amnesty sulle prostituzione delle "ragazze..." e negli anni precedenti i progetti di rete anti violenza del Piano Urban resi possibili attraverso la collaborazione tra università e altre istituzioni dentro la città. Poi ancora ha voluto rendere espliciti i nodi della questione della prostituzione delle immigrate, di "questo fenomeno che scorre intorno ai nostri occhi", delle problematiche della politica e degli interventi contestuali.

A partire dalla lettura del libro, la professoressa Mendorla ha voluto distinguere tra tratta coattiva e prostituzione, ha posto la questione della costruzione della schiavitù di queste donne, la questione del corpo e della sua inviolabilità e quella della vendita volontaria di esso, e dei piani di collusione dentro le forme di violenza subita da queste donne. "La condizione di grave oppressione fa perdere talvolta alle donne che si prostituiscono ogni riconoscimento e consapevolezza della violenza da loro subita. Oramai bisogna pensare non solo alla prostituzione delle nigeriane ma anche quelle delle donne dell'est europeo: esempi diversi di cittadinanza incompiuta".

Poi ancora si è soffermata su quegli aspetti antropologici del potere dei maschi sulle donne, la cui radice è quella cultura che intrappola le forme del desiderio e del piacere sessuale, in ruoli stereotipati di dominio tra i generi: "Quanto è cambiato nei giovani lo schema del desiderio e della violenza? Matteo, il giovane che aiuta Wendy e l'affianca nei suoi processi di liberazione è da considerare l'esempio di un uomo nuovo". E Tommaso, l'uomo che Wendy avrebbe dovuto sposare, fuoriesce dalle logiche oppressive patriarcali, perché non decide di non esercitare il suo diritto sulla ragazza. Invece collabora nel suo cammino contro le logiche che la rendono marginale. Wendy, anche con il suo aiuto ha potuto trovare risorse dentro di sé, che l'hanno aiutata a trovare gli strumenti per la sua liberazione, inclusione e integrazione sociale.


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Paola Monzini ha raccontato i tratti della narrazione e i tratti della soggettività di questa donna: la sua vita, il viaggio dalla Nigeria, l'arrivo in Italia da un piccolo centro dell'Africa, la sua condizione di migrante, la strada, le difficoltà etniche, il debito del viaggio e della permanenza, la "non scelta" volontaria della prostituzione, l'avvenimento dell'aiuto da parte di un ragazzo, appunto Matteo, la forza e il coraggio per uscire dallo sfruttamento, il senso di colpa, gli strumenti per integrarsi dentro la società civile, il lavoro, la laurea, la ricerca della felicità.

La narrazione sulla tratta e sulla prostituzione di questa donna è stata scritta dopo una ricerca approfondita durata tre anni e sei mesi, lavorando in molti paesi e con professionisti diversi (magistrati, poliziotti , assistenti sociali), a confronto con diversi sistemi  di costruzione sociale della vendita del corpo delle donne. Lo ha scritto per raccontare della prostituzione in termini storici, ma anche in termini concreti, singolari, a partire da un lavoro di collaborazione della scrittura della vita di Wendy. Il testo così risulta una scrittura al presente densa di una narrazione emotiva, intima, concreta della storia disperata e di speranza di Wendy.

"L'ho conosciuta tramite un amico comune - spiega -, in un momento in cui non aveva affrontato alcune complessità della sua vita, ad esempio quella di raccontare al fidanzato la propria esperienza". Wendy ancora oggi racconta del suo sentirsi colpevole dinnanzi a questa scelta che ha fatto, ha consapevolezza di avere sbagliato quei passaggi della sua vita che l'hanno portata sulla strada. Ma nel testo si evince bene anche la sua condizione status di immigrata, di donna che appartente alla schiera di persone che, entrate nel nostro stato, sono prive di alcun diritto di cittadinanza.


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Per uscire da questa situazione Wendy viene aiutata dapprima da Tommaso, uomo adulto, che con cui si scambia dei favori; poi dalla amicizia di Mattia, coetaneo e singolare eroe che le offre la  possibilità di un appello ascoltato. Questo per raccontare la sua storia di debolezza ma di anche di progressiva integrazione dentro i luoghi della legalità. E per raccontare alcuni nodi della prostituzione, primo fra tutti la questione del mercato, della rimozione della esclusione, del ruolo dei clienti, della violenza dei maschi, dell'abuso dei loro corpi e delle loro menti.

Secondo Emanuela Abbatecola si deve "riflettere sulla posizione determinante del cliente che si nasconde dietro una costruzione sociale apparentemente neutra e generica. Egli invece è il soggetto determinante della richiesta che crea il mercato. Non solo: tutta l'analisi del fenomeno prostituzione risulta invischiata dai modelli culturali maschili e dalla reiterazione del senso di colpa.

E così l'incapacità di pensare i fenomeni sociali come processi deboli e complessi, che hanno a che fare con la cittadinanza, la pluralità, l'autoderminazione dei soggetti, aiuta a rimuovere l'evidente mercato globale e mondiale dove ognuno può diventare merce di scambio. Per primi i minori e le donne.