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Ebraismo e modernità, focus sulla cultura yiddish

Si è concluso il ciclo di seminari organizzati da Scienze politiche

 
 
28 maggio 2007
di Fabio D'Urso
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La domanda da cui ha avuto inizio il ciclo di otto seminari su "Ebraismo e modernità tra politica e religione", promossi dalla Facoltà di Scienze politiche, è stata data dalla necessità di conoscere dell'ebraismo e dai percorsi storici affini: il socialismo e l'anarchismo.

La prima scelta è stata quella di parlarne a partire dall'ebraismo narrato. Quello di Lia Levi, ad esempio; perché una delle linee guida del seminario è stata la narrazione, la memoria, l'ascoltare, il rapporto con la storia da coniugare con la tradizione del pensiero politico, della riflessione sulle categorie politiche. Gerusalemme ed Atene, la narrazione e i fondamenti della politica. L'ebraismo nella narrazione diventa storia. Gerusalemme si racconta con la memoria e l'ascolto.

Il rapporto tra cultura ebraica e i suoi attributi è stato indagato a partire dai segni della cultura, e la cultura a cui è stato dato rilievo è quella tedesca. Ecco perché la riflessione su Moses Hess e Landauer. Poi la scelta di indagare sul linguaggio. E il linguaggio originario è quello biblico. Ecco perché l'incontro dal titolo "Moses' Politics in the Old testament", per pensare a partire da una riflessione storico critica il popolo d'Israele e il rapporto di alleanza con l'Eterno. Relatori dell'incontro sono stati Fabio Battiato e Matteo Negro. A partire dalla relazione di Martin Bertman, famoso studioso ebreo di filosofia politica, dell'università di Helsinki su i temi dell'alleanza biblica tra Dio e l'uomo. I punti di osservazione di questo rapporto sono risultati diversi. Mentre Fabio Battiato ha evidenziato una attenzione alle forme linguistiche entro una contestualizzazione che serve a destrutturare il testo e ad analizzare le forme del linguaggio biblico, Negro ha evidenziato una rilettura, nell'ottica del cristianesimo e in relazione a quel vincolo religioso, inteso come esperienza di koinonìa, l'essere uniti da un'esperienza primordiale che fonda l'avvenimento cristiano come evento. Da qui un dibattito sulle forme religiose, sulla libertà, sulla soggettività, sulla pluralità delle azioni, sui processi sociali.


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Infine la scelta di comprendere questo rapporto con il Dio di Israele, con le sue promesse. Con il pensiero escatologico, che altro non è che il rimando al tempo futuro e alla utopia dei processi rivoluzionari. L'incontro finale "Escatologia anarchica e escatologia ebraica" ha voluto indagare, a partire da una riflessione che ha voluto comparare non solo la tradizione ebraica, ma altre tradizioni monoteistiche, ove ha una significativa importanza quel pensiero messianico che secondo Martin Buber risulta l'idea più originale che l'ebraismo ha lasciato in eredità alle moderne teorie radicali, con la sua aspirazione escatologica a un avvenire radicalmente nuovo. La relazione di apertura è stata affidata al professore Enrico Ferri. Che ha fatto un lavoro di comparazione delle diverse tradizioni religiose monoteistiche, oltre che un rimando storico a tutta quella tradizione del pensiero filosofico italiano tra etica e politica, citando tra l'altro il filosofo Augusto del Noce, come figura emblematica del dibattito in Italia. L'intervento affidato a Fabrizio Sciacca dell'Università di Catania, ha dato una lettura kantiana, del discorso escatologico, con delle valenze epistemologiche. .Una riflessione che per alcuni versi, potrebbe avere a che fare con l'ultima riflessione arendtiana sulla responsabilità del giudicare.

Per parlare di Ebraismo e anarchismo, la riflessione sulle affinità elettive tra tradizione ebraica e tradizione libertaria nella storia è stata affidata alla riflessione di Furio Biagini, autore del libro "Nati altrove", e al commento di Luciano Granozzi, docente di storia dell'Ateneo catanese.

La pagina dimenticata della cultura yiddish è stata raccontata da Biagini: gli ebrei anarchici, tra la fine del secolo scorso e la metà di questo secolo. La convergenza delle tradizioni nella Zona di residenza coatta, l'est-europeo, culla della cultura yiddish, nel quale erano costretti ad abitare gli ebrei secondo la legislazione zarista. Poi il processo di attrazione fra tradizione ebraica e utopia libertaria si è manifestato nell'emigrazione verso l'Inghilterra, gli Stati Uniti (di prima generazione citiamo, come individualità di spicco, Emma Goldman, di seconda generazione Paul Goodman, Noam Chomsky, Murray Bookchin) e l'Argentina. In questi paesi il nascente movimento operaio ebraico, composto da immigrati est-europei, fu organizzato grazie all'energia degli anarchici, spesso giovani ebrei allevati nel timore di Dio e nel rispetto delle tradizioni religiose, in seguito trascinati dalla corrente dell'utopia rivoluzionaria. Essi incarnavano il radicalismo di un proletariato che intravedeva il messia tra i portavoce dell'ideologia libertaria.


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Le conseguenze ideologiche dell'incontro tra sionismo e anarchismo in Palestina prima e dopo in Israele nei kibbutzim, e sull'esito drammatico della fine della cultura yiddish in Europa sono state rese da Biagini e Granozzi, con sfumature. Per Biagini l'apice del movimento anarchico ebraico è dato dalla fine dell'ottocento alla prima guerra mondiale: dopo il movimento entra in crisi, per via delle assimilazione delle generazioni. "E una pagina dell'anarchismo non è stata ancora scritta, approfondita, e meditata. Nella guerra spagnola ci siano stati cinquemila anarchici, come dalla Spagna del 1936 a Israele nel 1948 vi sia stato uno slittamento nazionalista, poiché i sentimenti di identità nazionale, dopo la Shoah, hanno infatti avuto un rilievo fondamentale. Questo cambiamento di paradigma è stato messo alla luce dall'intervento di Granozzi, secondo cui "la componente libertaria è naufraga con l'incontro con il sionismo". Una tragica sintesi nella storia di questo movimento.

"Non vado dal rabbi per parlare di Dio, ma per vedere come si allaccia le scarpe". Furio Biagini ha raccontato e descritto in chiave teoretica, molti dei temi dell'ebraismo: creazione, pace, ambiente, dovere allo studio, centralità del sabato, prossimità come attenzione all'oppresso e allo straniero. Il  suo punto di vista, nel commento di Granozzi è stata una rilettura di uno dei tanti possibili giudaismi, in cui si riscontra una potenzialità libertaria tale che non è possibile riscontrare nel cristianesimo. Una impostazione della storia dell'anarchismo da comparare con quella di Bravo che ha scritto una storia del movimento anarchico a partire dalla collocazione nelle iniziative di base operaie che strutturano l'azione politica. La corrente anarchico-democratica - per Granozzi -

è un riflesso della spiritualità ebraica; una cultura non prigioniera del culto della propaganda attraverso il fatto violento, che ha una forte carica pedagogica per gli strati disgregati. In essa è possibile rilevare come alla base della concetto di legge, vi sia un rapporto di collaborazione tra Dio e l'uomo. Come alla base dell'esperienza dell'Esodo, si possa pensare alla lotta per la Terra promessa, qui. Come l'Internazionalismo nell'esperienza yddish precede e accompagna l'internazionalismo operaio.

Diverse interpretazioni del sionismo e diversi significati nella forma del pensiero politico. Cosi il sionismo politico come nazionalismo, o come separazione religiosa dal resto del mondo, o ancora come luogo del socialismo. Queste riflessioni sul ritornare a Sion in qualche modo ci fanno riflettere su come l'ebraismo sia multiforme e variegato, e anche contraddittorio. Ma che è una riflessione che è legata alla storia del novecento dopo la Shoah. Che a che fare con la storia di tutti. E che per questo ci aiuta a cogliere delle categorie che sono sociali e politiche: dal concetto ebraico di prossimo a quello di amore per gli oppressi, dal rapporto con il creato la relazione e l'azione dell'uomo nella storia, dal riposo del sabato alla rappresentazione escatologica del mondo futuro, dalla sospensione del tempo alla affermazione dell'uguaglianza di tutta l'umanità. Dal concetto che la terra non è dell'uomo al mondo dell'utopia, dal messianismo alla rivoluzione, dalla lingua anarchica yiddish che non porta in se la parola Stato alla riflessione del potere costituente del popolo, dal libero arbitrio alla azione e alla responsabilità individuale.

E così che questo seminario su l'ebreo, l'uomo in bilico, è diventato una riflessione sui percorsi della pluralità, un indagare una cultura per aumentare la consapevolezza sul potere costituente dei percorsi collettivi, sociali, storici e politici.nomadi, apolidi.