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Il viaggio di Cristicchi nella "mattìa"

Proiettato nell'auditorium dei Benedettini il documentario "Dall'altra parte del cancello"

 
 
11 maggio 2007
di Mariano Campo
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La buona notizia è che un'aula dell'Università di Catania, l'auditorium dei Benedettini, ha ospitato - per iniziativa della Facoltà di Lettere - la proiezione di un documentario sui malati di mente e sulle strutture manicomiali, intitolato emblematicamente "Dall'altra parte del cancello", realizzato dal cantautore Simone Cristicchi prima che lo stesso vincesse l'ultimo festival di Sanremo con "Ti regalerò una rosa", dedicata proprio al tema del disagio mentale.
La notizia cattiva è che lo stesso video, che non ha nulla da invidiare ai reportage televisivi più celebrati, non è stato ancora trasmesso in prima serata dalla Rai, magari proprio all'ora dei "pacchi", e in replica il sabato sera su Canale 5 al posto della Corrida di Gerry Scotti: come dire, meglio i matti che i mattacchioni.

Zazzera più florida che mai, occhialino impertinente da falso primo della classe, inseparabile sediolina gialla sotto il braccio, che diventa un bizzarro osservatorio sul mondo, sia che venga piantata sulla battigia di una spiaggia che in mezzo ad una colonna di auto nel traffico cittadino, Cristicchi getta definitivamente alle ortiche l'immagine del cantante "ironico-demenziale" che confessa saltellando davanti alle platee da Festivalbar di voler emulare nientemeno che Biagio Antonacci, per cominciare un viaggio nell'universo dei vecchi manicomi, per fortuna oggi finalmente chiusi, chiedendosi e chiedendo ad amici cantanti, attori (Ascanio Celestini, fra loro), ad ex infermieri psichiatrici, ad ex "reclusi" e alla poetessa Alda Merini, cos'è per loro la follia, o la "mattìa", come dicono in Toscana. Colonna sonora soft e "unplugged", come "unplugged" sono le sue domande, rispettose, talvolta timide e delicate, quando si trova di fronte il racconto smozzicato, pronunciato con una "calligrafia da prima elementare" (e malvolentieri riportato alla luce) del dolore vissuto al di là dei cancelli di Volterra, Siena, Genova e di altri manicomi. "Ma niente lacrime, per carità, se ne vedono già troppe in tv nei finti programmi che vanno per la maggiore". Semmai smorfie, gesti ripetitivi e un po' compulsivi, che lo stesso Simone mima tra un'intervista e l'altra, come se fossero intermezzi danzati che vogliono richiamare l'attenzione sui linguaggi della follia.


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Il trionfatore di Sanremo arriva in auditorium dieci minuti dopo che la proiezione è finita, alle spalle ha un tour de force di otto ore che lo ha portato in auto da Foggia a Catania, prima di andare in scena al Metropolitan con il suo spettacolo teatrale. Ad attenderlo un pubblico affezionato ma composto, niente gridolini né scene di isteria, forse fra loro tante che si identificano nella "studentessa universitaria" o nella "laureata precaria" delle sue canzoni. Insieme con loro le docenti Elvira Seminara, Maria Rosa De Luca, Giuseppina Mendorla, che lo incalzano con le domande che tutti vorrebbero porgergli. L'atmosfera è diversa, più sacrale - per fortuna -, da quella degli incontri nei quali il cantante di grido tesse le lodi del suo ultimo cd, magari sbagliando i congiuntivi, o si presenta l'imperdibile film con il belloccio di turno. I numerosi studenti presenti hanno già visto il documentario e si chiedono probabilmente cos'abbia spinto l'emulo di Biagio Antonacci a rinchiudersi dietro le sbarre per riportare alla luce le tracce di urla, squallore, violenze, graffiti che gridano sofferenza, cellette umide e anguste. O in altre parole, l'ombra - rimasta scalfita nelle pareti - di solitudine, infelicità, disabilità, incomprensione.
"Il matto è un inviato speciale", spiega qualcuno. "E' uno che cammina con la scarpa destra al posto della sinistra e viceversa", "un prigioniero dei sogni", "uno che vede scorrere al suo fianco un fiume nel quale non si può tuffare", "il tasto stonato di un pianoforte", "chi è il matto? dipende da che parte si chiude il cancello"; "il manicomio è un'isola al di fuori della società dove si vive in bianco e nero". "I matti potremmo essere anche noi. Basti pensare che prima si veniva rinchiusi soltanto in base alla motivazione dello 'scandalo sociale'; era sufficiente una depressione, o un'altra patologia difficile da curare per finire sepolti vivi dietro le sbarre". Le definizioni degli eterogenei testimonial di Cristicchi si rincorrono nell'ora e un quarto del filmato, e in fondo vanno tutte benissimo. Lui stesso ha riempito di metafore efficacissime il rap soffuso di "Ti regalerò una rosa". "Tu prova ad avere un mondo nel cuore, e non riesci a descriverlo con le parole" cantava De Andrè nella sua trasposizione in note dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, ritraendo lo scemo del villaggio Frank Drummer. E il giovane cantautore romano con il suo video tende alla liricità del grande Fabrizio, prosaicizzando con leggerezza (e fruibilità televisiva) temi come le terapie invasive (sedativi, elettroshock, insulinoterapia) o le costrizioni della camicie di forza e dei legacci, rendendo onore e dignità ai suoi "matti" - anonimi ma simbolici Luigi, Mario, Marcella, Antonio, Gaetano, Annamaria, Elena -, raccontando le facce e le storie di queste anime fragili che declinano l'amore su altre frequenze. "In fondo, avevo solo bisogno di una famiglia", confessa candidamente uno di loro.

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"Sono andato a trovare per qualche tempo un amico che è stato ricoverato in un centro di igiene mentale - racconta Simone, che potrebbe tranquillamente confondersi con molti dei ragazzi seduti in platea -, e sono rimasto colpito da questa realtà. E' stato toccante scoprire quelle cellette, agghiacciante prendere coscienza di questi lager, indossare quei camicioni di cotone grezzo marchiati con il numero di matricola e la sigla dell'ospedale psichiatrico che venivano fatti indossare loro come unico abito. A un certo punto ho desiderato trascorrere le mie giornate accanto a queste persone, molte delle quali hanno letteralmente rimosso l'esperienza del manicomio, che mi hanno regalato moltissimo. Lo spettacolo, nel quale recito delle lettere d'amore che ho ritrovato negli archivi dei manicomi, il libro, la canzone, che era inizialmente pensata come colonna sonora del documentario, sono tutti dedicati a loro. Mi è sembrato un atto di giustizia, ridare luce a questi fogli, ridare voce a queste parole, ridare spazio a questi volti, con nessun altra pretesa che far vedere al pubblico il "filmino" di questa mia inusuale vacanza, i cui titoli di coda sono proprio i sorrisi catturati di Luigi, Mario, Marcella, Antonio, Gaetano, Annamaria, Elena, Alda".
Un viaggio 'borderline', come si usa dire oggi, sull'orlo del confine tra la vita e la morte, tra la normalità e la follia, che in fondo non è troppo in contraddizione con il 'primo' ironico Cristicchi, che da fan del Biagio nazionale si trasforma in cantore della società di oggi con le sue "miniature" della studentessa fuorisede o della laureata precaria "vittima dell'accanimento formativo". "Ho mollato l'università - rivela, strappando applausi di solidarietà - perché ero demoralizzato dalla burocrazia, ho lavorato nei call center, come barista, venditore di pop corn nei cinema o facendo volantinaggio. A proposito, un paese dove i politici chiamano 'lavoro temporaneo' le condizioni di precariato, secondo voi non è un paese di matti?".