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La Somalia e i Medici senza frontiere

Incontro a Scienze politiche promosso dal Centro Braudel

 
 
24 aprile 2007
di Eva Spampinato
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Lavorano ogni giorno a contatto con i conflitti e le contraddizioni. Conflitti di guerre lontane e, per la maggior parte delle persone, dimenticate. Dimenticate perché chi dovrebbe rendere conto di quanto avviene nelle terre d'Africa - e in tutti quei paesi dove si gioca ogni giorno alla sopravvivenza e dove i colpi di mortaio sono uguali a quelli afgani -dimentica di farlo. O semplicemente segue le regole della "notiziabilità". La guerra in Iraq fa notizia. La guerra civile somala, no. I morti di Bagdad fanno l'apertura dei giornali. Gli stermini in Somalia per mano delle Corti Islamiche, invece no.

"I volontari di Medici senza Frontiere, invece, hanno fatto loro il motto I care, a me interessa. Gli uomini e le donne di MSF hanno il mondo come orizzonte". È così che la prof.ssa Graziela Priulla ha introdotto il dibattito su le "Crisi dimenticate: operare e comunicare. Il caso Somalia". Un incontro con i volontari di Medici senza Frontiere organizzato dal Centro Braudel nella facoltà di Scienze politiche e che giovedì 19 aprile ha avuto come ospite speciale, insieme al gruppo della Onlus internazionale, anche l'inviato del Corriere della Sera nelle zone di crisi, specializzato in Africa, Massimo Alberizzi, che ha raccontato alcune delle sue esperienze in Somalia, durante gli anni della guerra civile tra le corti islamiche e i cosiddetti "signori della guerra".


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A tracciare un breve ritratto del paese del corno d'Africa è stato il prof. Federico Cresti, docente della facoltà di via Vittorio Emanuele. "La Somalia è un paese estremamente complesso, un territorio dalla forma particolare, tagliato in maniera artificiale dalle colonizzazioni francesi, britanniche e italiane - ha spiegato il prof. Cresti, che ha fornito ai preseti un quadro economico-sociale complessivo del paese, per tentare di capire le logiche che hanno portato allo stato di guerriglia permanete della popolazione che, come risposta scappa dalle zone pericolose, spostandosi in continuazione da un villaggio all'altro -.  Dopo l'uscita di scena del presidente Siad Barre, nel 1991, è iniziata una violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai cosiddetti "signori della guerra".

Nel '92 sono intervenuti gli Usa e contingenti di pace internazionali, che non sono riusciti a riportare l'ordine nel Paese, in mano soprattutto alle milizie del clan di Aideed. Così nel 1995 la truppe ONU se ne sono andate, lasciando affondare la Somalia in una spirale di violenze che, fino ad oggi, ha provocato quasi mezzo milione di morti (contando anche i morti per la carestia generata dalla guerra). Nonostante siano in corso trattative di pace, le violenze continuano, soprattutto nella parte meridionale del Paese". Nell'agosto del 2000 una conferenza di riconciliazione nazionale tenutasi nel confinate Djibouti ha eletto Abdiqasim Salad Hassan presidente del primo governo nazionale somalo dal 1991. Ma fin dall'inizio questi sta affrontando la dura resistenza di vari gruppi armati, soprattutto dell'Esercito di Resistenza degli Rahanwein (RRA) guidato da Hassan Mohamed Nur, appoggiato dalla vicina Etiopia.

In una terra divisa, la popolazione scappa. E i cittadini diventano rifugiati. Ad occuparsi di loro c'è, dal 1991, Medici Senza Frontiere, un'associazione internazionale privata nata per offrire soccorso sanitario alle popolazioni in pericolo e testimoniare delle violazioni dei diritti umani cui assiste durante le sue missioni.

In Somalia, a Dinsor, MSF ha creato da quattro anni un ospedale, che si occupa di medicina d'urgenza e salute infantile, con un centro terapeutico di nutrizione e un centro di sanità di base. Si svolgono le attività di laboratorio, consulta medica e prescrizioni di farmaci. "Attività che nel resto del mondo sono scontate e si definirebbero di base - ha spiegato un volontario dell'associazione onlus, Alberto Zerboni, architetto di Como che ha abbandonato il suo lavoro in Italia per dedicarsi a tempo pieno ai progetti umanitari - ma che in Somalia sono straordinarie. La popolazione, prostrata da anni di guerra civile, continua a vivere in condizioni spesso drammatiche, cercando di riacquistare pace e dignità. Per sfuggire alla morte, centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato le proprie case e si sono in parte riversate nei campi profughi, come quelli intorno a Dadaab (Kenya)". Qui vivono da circa 10 anni 130.000 persone. Imprigionate all'interno dei tre campi, non possono né lavorare, né uscire. In una zona infestata dai banditi, le donne che escono per cercare legna vengono ripetutamente violentate e gli uomini torturati o uccisi. Nessuno di loro può tornare nella propria città se non a gravissimo rischio di vita per sé e per la propria famiglia.


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"Il sistema di assistenza sanitaria, insieme a tutti i servizi statali, è collassato - spiega ancora Zerboni, che ha iniziato la sua attività di volontariato nel 2001, e ora si occupa dell'organizzazione delle strutture logistiche - La maggior parte dei medici è fuggito dal paese e, a parte il personale che lavora con le Organizzazioni Non Governative, nessun medico e nessun infermiere è stato formato in Somalia dall'inizio della guerra. L'unica assistenza sanitaria disponibile pubblica o gratuita è quella fornita dalle poche ONG che lavorano ancora nel paese e da noi. Quattro mesi fa il personale di MSF è stato evacuato perché c'era una grave situazione di insicurezza provocata delle Corti islamiche, quindi nell'ospedale è rimasto solo il personale somalo. Centoventi medici che abbiamo formato noi in questi anni, con fatica e diplomazia. Non bisogna imporre mai l'aiuto - ricorda il volontario - ma offrirlo e negoziarlo. Quella somala, infatti, è una popolazione con una storia molto particolare, che ha le sue regole, le leggi dei clan e di appartenenza. E prima di fare qualunque cosa, bisogna parlare e negoziare con i saggi, i capi clan".

La conferma della difficoltà di gestione della vita nel corno d'Africa viene riportata anche da Massimo Alberizzi, giornalista che da più di vent'anni riporta le corrispondenze dall'Africa e che il mese scorso ha partecipato alla liberazione dei due ostaggi italiani, Cosma Russo e Francesco Arena, tecnici dell'Eni, catturati in Nigeria dai guerriglieri nigeriani del Mend (Movement for the Emancipation of the Niger-Delta). La loro prigionia era durata 98 giorni. "Siamo riusciti a liberarli senza pagare nessun riscatto e, soprattutto, senza nessuno scambio di prigionieri". Racconta il cronista del Corriere della Sera, con un chiaro riferimento ai fatti dell'Afganistan e alla liberazione del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo.

"La Somalia è il paese delle contraddizioni - ha spiegato Alberizzi - un paese difficile da raccontare. Dal nord arriva l'influenza araba e dal sud quella africana. La popolazione è musulmana, ma le donne vanno in giro con il seno scoperto, mentre in Afganistan hanno il burka. La gente vive con le rimesse dei migranti è, anche se non hanno da bere, tutti posseggono un cellulare. Da Dubai arriva di tutto. Nelle sale operative e negli ospedali di Medici senza Frontiere, ho visto operare in condizioni estreme, in cui spesso si è riusciti a salvare diverse vite. Condizioni che non sarebbero esistite senza l'aiuto dei volontari internazionali".

E proprio in questi giorni a Catania, in piazza Università, Medici senza Frontiere ha allestito un campo rifugiati, per far capire alla gente che tipo di aiuti portano in giro per il mondo. Nelle aree di crisi dimenticate come il Darfur, la Cecenia e la Repubblica Democratica del Congo, per citarne alcune. "In realtà sono tute dimenticate. Si contano sulle dita delle mani le pagine dedicate negli anni, dai giornali italiani, alle crisi in questi luoghi. Paesi come la Francia o l'Inghilterra, invece - conclude Alberizzi - stanno più attenti a cosa succede nelle loro ex colonie". Disinteresse o disinformazione? "Il pubblico come fa ad interessarsi di ciò che non conosce, di cui ignora le coordinate? - si interroga la prof.ssa Priulla - Nessuna epoca storica ha potuto usufruire di così tanti mezzi di comunicazione, che rendono immediato lo scambio di notizie, informazioni ed idee. Eppure, ancora oggi, abbiamo davanti una informazione appiattita, dove le prime pagine dei giornali sono identiche".