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"Salvatore", a tu per tu con "papà" Cugno

Gli studenti catanesi hanno incontrato il regista-rivelazione dell'anno

 
 
17 aprile 2007
di Eva Spampinato
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È diventato uno dei film italiani più visti nel mondo nell'ultimo anno. Uno dei lungometraggi più proiettati nelle scuole per il sapore di fiaba edificante che trasmette la storia del piccolo Salvatore. Una storia vera, accaduta circa diciotto anni fa. La storia di un bambino costretto a diventare adulto già a 12 anni, non andare a scuola per andare a pesca e lavorare nelle serre - perché perde entrambi i genitori e deve mantenere la nonna e la sorellina - e che "cerca istintivamente di farcela".
"Una storia come ce ne sono tante in Sicilia", racconta il regista di "Salvatore. Questa è la vita", Gian Paolo Cugno, siciliano, classe 1968, autore di due romanzi, una lunga gavetta a 360 gradi attraverso i mestieri del cinema, e autore della prima opera italiana prodotta dalla Disney assieme alla Globe film di Pietro Innocenti. "Bambini che non vanno a scuola perché vivono in un contesto sociale degradato, occupati a fare altro mentre i loro genitori non ci sono o "lavorano" per strada". Storie che il trentanovenne Cugno ha visto con i propri occhi. Qui, a Catania, non molto lontano da quell'aula dei Benedettini in cui il regista di Pachino parla a centinaia di studenti.
"A Catania insegnava la mia ex ragazza - ricorda Cugno, seduto accanto a Maria Lombardo, giornalista catanese e responsabile dei laboratori di giornalismo a Lingue - Insegnava in una delle scuole più a rischio della città, vicino al Fortino, e un giorno andammo a prendere un suo alunno sino a casa per fargli fare gli esami. Lì mi accorsi dello stato in cui viveva questo ragazzino che, invece di stare in classe, ne combinava di tutti i colori, saltava sui tetti delle case e andava in giro a fare danni". Una descrizione che ha colpito gli studenti della Lombardo, che hanno realizzato la locandina dell'incontro organizzato dai corsi di Teoria e Tecnica del giornalismo, Storia del Cinema, Teoria e Tecnica dei mezzi di comunicazione di massa della facoltà di Lingue, in collaborazione con il settore Circuiti Culturali dell'Ateneo. E il paragone va subito al maestro romano del piccolo Salvatore, interpretato da Enrico Lo Verso, nel cast insieme ad altri grand nomi come Galatea Ranzi, Giancarlo Giannini e Gabriele Lavia.


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"Il maestro si accorge delle difficoltà del piccolo e decide di andare a casa sua, a fargli lezioni private - spiega il regista che con "Salvatore. Questa è la vita" ha vinto la prima edizione del Premio Agiscuola - da lì inizia un percorso di conoscenza e di "salvezza" reciproca. Perché attraverso l'incontro tra il bambino e l'adulto, il maestro trova la sua strada e Salvatore torna ad essere bambino".
"C'è un distacco con la gioventù urbana attuale - osserva il prof. Paolo Bozzaro, docente di psicologia sociale - che diventa adulta, assumendosi tutte le responsabilità della vita e del lavoro, sempre più in tarda età. Salvatore è un adulto più bravo degli adulti. Riesce a fare tutto, sa riparare un'auto, sa pescare benissimo, sfida le persone più grandi di lui (come si vede dalla scena della sfida al boss con il coltello). È stato "adultizzato" in modo prematuro e con il dolore della perdita tragica del padre. Ma nella figura di questo dodicenne c'è anche l'aspetto di protezione verso la famiglia. Una storia che si può paragonare al realismo verghiano, ma qui il protagonista si apre al cambiamento, alla guida dell'insegnate. Dovrebbe essere la scuola ad andare verso i ragazzi difficili".
E l'interprete di Salvatore, Alessandro Mallìa, è davvero come lo si vede sul grande schermo. "Un ragazzino che vive all'aria aperta, uno di quelli che non fa notizia. Che potrebbe fare le rivoluzioni o rimanere pescatore a vita, come in realtà lui vorrebbe - racconta ancora Cugno, che su Alessandro ha puntato molto. Correndo anche un bel rischio - Alessandro l'ho scelto dopo aver visionato circa 600 bambini; ha 12 anni, suo padre fa il pescatore e abita vicino al faro. E' una vera forza della natura e ciò che gli vedete fare nel film lui lo sa fare davvero: le scene in cui piange, le scene in cui intreccia i pomodori, quando guida l'Ape. Nell'interpretare Salvatore ci ha messo tutta la sua energia ed è questo ciò che cercavo. Si è molto affezionato a me ma mi ha anche fatto diventare matto. Combinava un sacco di scherzi alla troupe e ogni tanto, prima del ciak, bloccava tutto per raccontare ciò che accadeva dietro le quinte. Storie personali, insomma".
Una esperienza faticosissima, ma appagante per il regista che ora sta girando il mondo con la sua opera prima. Dopo la Russia, infatti, Cugno andrà ad Hollywood per partecipare al Giffoni Festival. "La frase 'questa è la vita' che abbiamo poi aggiunto anche al titolo del film, non compare nella sceneggiatura perché l'ha pronunciata lui, così, spontaneamente in uno dei dialoghi con il maestro. E devo ringraziare la Buena Vista che si è accorta di questa frase dicendo che poteva andare bene come sottotitolo del film".

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La giovane macchina da presa del regista esordiente, ma con anni di gavetta e rigore tecnico alle spalle, ha voluto lasciare intatta la bellezza della Sicilia, ma non puntare sui suggestivi panorami che regala. "Per questo film ho scelto la semplicità tecnica - risponde Cugno alle domande tecniche del prof. Rosario Lizzio - quando lo spettatore si distrae dalla storia e rimane colpito dalle belle inquadrature, il regista sbaglia. Il regista, a mio parere, è bravo nel momento in cui fa dimenticare allo spettatore che gli attori stanno recitando. Ho voluto realizzare un film che regalasse emozioni, piuttosto che una lezione di tecnica cinematografica".
E ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di fil maker, Gian Paolo Cugno consiglia: "andate a bottega". La vera palestra è stare dietro i maestri ed imparare tutti i mestieri del cinema. "Oggi le tecnologie danno possibilità e libertà impensabili fino a qualche anno fa - conclude l'autore - ma non bisogna abusare della libertà espressiva che una piccola telecamera può dare. Cortometraggi e montaggi fatti in casa e poi messi on line, sui video social network, vanno bene per allenare le idee, magari, ma il rischio è che questa libertà espressiva inibisca quel percorso che ti porta a scavare nella tecnica. Il rigore del 'bruciare' pellicola porta a capire bene come girare una scena e fare mille prove prima di gridare 'azione'".