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Scienze politiche

Lia Levi, l'ebraismo tra storia e narrazione

Venerdì 30 marzo seminario su "Ebraismo e modernità" con la scrittrice di origine piemontese, autrice di "Una bambina e basta"

 
 
02 aprile 2007
di Fabio D'Urso
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"Non mi piacciono i grandi quando decidono di farti un discorso: si sentono evoluti e magnifici, ti guardano negli occhi, cercano il tono a mezza altezza... Ora saprai tutto anche tu, ci penseranno loro a impacchettarti la notizia come una merendina". E' l'inizio del romanzo "Una bambina e basta" che racconta la storia delle peregrinazioni della famiglia della scrittrice Lia Levi nei primi anni quaranta, cioè durante la seconda guerra mondiale e dopo il 25 luglio 1943. Dall'esclusione della protagonista e delle sue sorelle dalle scuole pubbliche, alla mancanza di lavoro del padre, i trasferimenti da una città all'altra e da una casa all'altra, e infine una specie di confino in un convento di suore per la parte femminile della famiglia. A Lia viene dato in quel frangente un cognome siciliano.


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La scrittrice piemontese è intervenuta venerdì scorso al primo dei seminari del ciclo "Ebraismo e modernità tra politica e religione", promosso dalla Facoltà di Scienze politiche su iniziativa della cattedra di Storia del pensiero politico e con l'apporto del settore Circuiti Culturali dell'Università di Catania. "La presenza a Catania di Lia Levi, scrittrice e protagonista di questo romanzo e di altre pregevoli produzioni narrative ma anche fondatrice della rivista "Shalom" - ha sottolineato Franca Biondi, docente di Storia delle dottrine politiche, introducendo l'incontro coordinato dalla prof.ssa Stefania Mazzone -, ci offre un'importante testimonianza culturale dell'Ebraismo tra storia e narrazione". Partendo da un contesto preciso, quello della Torino del 1938, che fa da sfondo a diverse opere, Levi presenta un percorso a più strati tematici e ci aiuta ad elaborare il rapporto tra la narrativa e la storia. "Tutto questo - ha aggiunto la prof.ssa Biondi -, a partire dall'occhio della bambina 'Lia', attenta a registrare la vita come fenomeno che accade e a disegnare una cartografia del complesso mondo degli adulti. Nel momento in cui questo mondo viene registrato dalla coscienza, allora si ha la costruzione della propria identità".

E sull'apporto femminile alla storia orale, ovvero narrata, di questa scrittrice che ormai vive a Roma e trascorre gran parte del proprio tempo a dialogare con i ragazzi nelle scuole e università italiane è stato incentrato tutto l'incontro, arricchito dalla riflessione su alcuni passaggi tra i più significativi delle sue opere. "Non sei una bambina ebrea, hai capito? Hai capito? Sei una bambina. Una bambina e basta". Ecco, per esempio, come in un'istantanea del suo racconto, la Levi riporta alcune brusche (e al tempo stesso tenere) parole della madre; questa madre attenta e razionale che difese e portò in salvo tutta la famiglia, permettendo inoltre il suo reinserimento nella società del dopoguerra. Sul rapporto con la madre, che si evince dal testo, e quindi sullo stereotipo della madre ebrea si è fatto leva per affrontare il problema dell'identità femminile nel rapporto con la cultura ebraica, nel prosieguo del dibattito. La Levi, ha voluto ricordare, con le parole della filosofa Hannah Arendt, che "donna" ed "ebreo", sono due categorie emblematiche della modernità, nel loro rapporto con la mondanità e la precarietà.


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"La scelta di questo seminario è dunque innanzitutto una scelta politica, nell'accezione più filosofica del termine - ha precisato la prof.ssa Mazzone -. E' importante tornare a riflettere sulla cultura ebraica, sulle sue sfaccettature dialettiche e contraddittorie, sul movimento anarchico degli intellettuali ebrei, sugli intellettuali ebrei americani, su questa complessa e ampia storia culturale, aperta al dialogo". Parlando al suo giovane e folto pubblico, la Levi - che si è detta fortemente emozionata - ha provato ad illustrare i meccanismi che stanno dietro la sua scrittura: "La mia esperienza, durante gli anni delle leggi razziali in Italia, quando lo Stato ci ha reso praticamente inesistenti, offre la misura di quanto il dolore si riallacci a tutto un contesto. Ho usato come materia incandescente tutto quello che avevo dentro: non il pensiero astratto, ma come io ho percepito il mondo da bambina. Il modo di procedere è quello di ricostruire una storia, unendo diversi elementi tra loro, ed in tal modo farmi testimone della storia. Partire dal punto di vista dei bambini, mi ha inoltre permesso di rovesciare il mondo degli adulti, creando un modo nuovo per raccontare ciò che esiste".

" Non posso far altro che continuare ad interrogarmi sulle cose - ha risposto poi ad alcuni studenti che le hanno posto domande sulla sua funzione di intellettuale e scrittrice ebrea -. Questo è un modo per coniugare ebraismo e modernità: mettere in equilibrio, continuamente, i diversi strati della cultura, senza aver paura di trovare infine dei caratteri distintivi. Poiché qualunque minoranza sparisce senza di essi".