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Presentazione di "Manon Lescaut"

Appuntamento con la lirica

 
 
17 maggio 2008
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L'itinerario celebrativo, con cui il Teatro Massimo Bellini di Catania ha inteso commemorare il 150° anniversario della nascita di Giacomo Puccini, volge ormai al termine, suggellato dalle previste rappresentazioni di "Manon Lescaut" (1893), il primo titolo del catalogo del musicista lucchese destinato a duraturo successo.
Al dramma lirico, cavato dal celeberrimo romanzo dell'abate Prévost, ha dedicato un'articolata presentazione Giuseppe Montemagno, nel corso dell'ormai tradizionale, attesissimo "Appuntamento con la lirica", organizzato nella Sala Museion della Residenza Universitaria "Centro" dal Gruppo di Catania dell'AEDE (Association Européenne des Enseignants) e dall'Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario dell'Ateneo etneo.
E proprio dalla temperie culturale di fine Ottocento ha preso le mosse il relatore, mettendo in evidenza la complessa trama di vicende che connotano la genesi dell'opera: il declino dell'astro verdiano, ormai arrivato al testamento spirituale di "Falstaff", le esigenze di Giulio Ricordi, attento ad assicurare un brillante avvenire alla casa editrice di cui era proprietario, i controversi rapporti con l'avanguardia musicale italiana, rappresenta da Boito e Catalani.

Capitali, in questa prospettiva, sono considerati i due viaggi che, nelle estati del 1888 e del 1889, il musicista compie a Bayreuth, tempio del teatro musicale wagneriano, per "aggiornare" tecniche espressive e strategie performative, rapidamente assimilate ed elaborate in maniera personalissima. Che "Manon Lescaut" rappresenti, infatti, il più significativo punto di congiunzione tra l'esuberante, sorgiva creatività melodica della tradizione italiana ed il melodramma wagneriano è stato brillantemente dimostrato dal musicologo - grazie ai numerosi esempi musicali, realizzati al pianoforte con partecipe evidenza da Francesca Gravagno - con particolare riferimento al "tema del nome", che tutta l'opera innerva, sin dall'apparire del cocchio che porta ad Amiens l'eroina dell'opera.
"L'impasto elegante e tragico", il "soffio della passione" che abitano Manon, peccatrice innocente perché vittima del lusso e del piacere, fanno dell'eroina puccinana un personaggio originale, distinto e distante dall'omonima protagonista dell'opéra-comique di Jules Massenet, che, appena nove anni prima, era assurta al rango di indiscussa protagonista delle scene liriche parigine.
Ma da Parigi rifugge l'opera pucciniana, che predilige invece un procedere volutamente frammentario, quasi frazionato, funzionale ad evidenziare la lacerante passione che unisce i protagonisti: opera del dubbio, quella francese, bruciante di certezze, quella italiana. Che per questo si conclude con un ulteriore, vibrante omaggio alla drammaturgia wagneriana: quando cala la tela sull'"orizzonte vuoto" del finale, un gelido tramonto americano immaginato per far eco alla costa bretone su cui si spegne Tristan, privo dell'amata Isolde.