Raccontare la Sicilia con un romanzo non è una novità, ma riuscire a delineare con accalorata inquietudine la dicotomia che ha da sempre caratterizzato l'immaginario collettivo dei siciliani è un'opera ben più ardita. Perché com'è riportato nella copertina della "Notara", il libro di Alfio Aurora, edito da Armando Siciliano Editore: "In Sicilia tre sono i potenti: il papa, il re e le femmine".
E proprio queste ultime - protagoniste indiscusse del racconto - sono le due facce della stessa terra: vivono vicine come mafia e cultura, sono madre e figlia come rassegnazione e rinascita, si accapigliano come tradizione e progresso, ma sono sangue dello stesso sangue. Siciliano.
Tutto questo è stato oggetto di discussione di un incontro che si è svolto, venerdì pomeriggio, nella sala Museion (presso la residenza universitaria "Centro"). Tra un intervallo musicale e l'altro, infatti, ha preso vita "Appuntamento con i libri", iniziativa dell'Ente Regionale per il Diritto allo Studio universitario.
A introdurre una parentesi di cultura melodica e letteraria, il padrone di casa Nunzio Rapisarda, direttore dell'Ersu, che ha poi passato la parola alla giornalista Assia La Rosa e al professore Alfredo Sgroi, critico attento alle sfumature sociologiche e psicologiche che una narrazione può e deve nascondere tra le righe. Oggetto di spunti per una "prospettiva introspettiva" sulle donne e sul loro universo, sulla storia e sulla produzione letteraria, sul passato e sul presente, e ancora sull'odio e sul materno amore è stata la "corsa degli eventi" ideata da Alfio Aurora - al suo secondo romanzo - catanese impegnato nella promozione culturale e artistica, che ha ben raccontato Catania e i suoi quartieri, grazie alla vita di tre generazioni di donne.
Una storia che il lettore ricostruisce pian piano, ripercorrendo le viuzze della civita dei primi anni del Novecento, impregnata di odori e suoni che, seppur indefiniti, sembrano quelli che riempiono ancora oggi la catanesità. Da un lato Rosina, figlia della povertà e di un fato pricchio, che nasce in un momento storico e sociale in cui le prime parole di un papà sono: "chi cinni facemu di 'na fimmina", che viene circuita e messa incinta giovanissima - nel nome del più moderno mobbing - dal notaio maritato dove andava a fare le pulizie di casa. Dall'altro, Agata, figlia della corruzione, che col suo carattere mascolino riesce a sviluppare un cinismo ed una crudeltà degne di un boss della malavita. Fa strada, Agata, sulla strada, prima di lasciare spazio a un'altra figura, Marisa, figlia di quella Sicilia mistica, quasi impalpabile, impregnata di preti e di riti.
E mentre scorrono le immagini dei ritratti dipinti di rosa, ecco che compare anche San Giovanni li Cuti, con i suoi pescatori, la sua festa patronale, le sue tradizioni.
Da questo libro, una cosa certamente vien fuori con forza: una morale rivelatrice dell'amore che lo scrittore deve certamente provare per la sua terra. La cultura può vincere sulla mafia, la rinascita può seppellire la rassegnazione, il male prima o poi si pente.