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Ersu
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"Il trovatore" e l'arte di raccontare

Conferenza del musicologo Giuseppe Montemagno per il ciclo "Appuntamento con la lirica"

 
 
22 febbraio 2008
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Il melodramma ottocentesco o dell'arte di raccontare. Come il romanzo trionfa nel gradimento del pubblico del XIX secolo per la sua capacità di sedurre, appassionare, irretire il lettore con storie inverosimili, complesse, ingarbugliate, così l'opera di Giuseppe Verdi fa propria la necessità narrativa proprio nei capolavori che si collocano al centro della sua fortunata parabola creativa, il cosiddetto "middle period".

Di questa esigenza "Il trovatore" - prossimamente in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania - è forse la dimostrazione più esaltante ed esauriente, come ha dimostrato Giuseppe Montemagno nel corso del tradizionale, attesissimo "Appuntamento con la lirica", organizzato nella Sala Museion della Residenza Universitaria "Centro" dal Gruppo di Catania dell'Aede (Association Européenne des Enseignants) di Catania e dall'Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario dell'Ateneo etneo.

Rappresentato per la prima volta al Teatro Apollo di Roma nel gennaio del 1853, "Il trovatore" si compie in una dimensione volutamente frammentaria (otto quadri in quattro parti), quasi divaricata tra un presente incredibilmente romanzesco e un passato che non cessa di influire minacciosamente sul destino dei personaggi. E perché questo passato costituisca la chiave di volta per la comprensione dell'intreccio, ricavato dal dramma omonimo di Antonio García-Gutiérrez, Verdi ricorre alla dimensione del racconto ben sette volte nel corso dell'opera, affidando al personaggio della zingara Azucena quelli indispensabili per una piena intelligenza dell'azione.

La pluralità delle tecniche musicali associate al racconto è, peraltro, indice di un uso scaltrito e drammaticamente efficace della grammatica musicale dell'opera di primo Ottocento, e segnatamente del numero chiuso, qui maggiormente presente che nei titoli giovanili, forse anche per l'esplicita volontà del librettista, Salvadore Cammarano, di fare dell'opera una sorta di straordinaria, avvincente sintesi di esperienze trascorse.

Nel corso dell'incontro multimediale, come sempre arricchito da numerose esemplificazioni musicali, il musicologo si è soffermato infine sulla figura di Manrico, il protagonista, che campeggia nel corso dell'opera. Per lui, il trovatore, che della voce e del narrare ha fatto il suo mestiere, Verdi immagina una definizione particolarmente suggestiva, dal momento che il primo e l'ultimo dei suoi interventi, nei quadri estremi, sono anticipati dalla voce "fuori scena", prima nel corso di una serenata, quindi nella mesta preghiera che ne precede l'esecuzione capitale: armato solo del suo liuto, Manrico, prima ancora di diventare personaggio, s'impone come icona dell'eroe romantico vilipeso dal destino, duttile strumento dell'ispirazione, affascinante quintessenza della musica e dell'arte.