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Cutgana
Cutgana Talk

L'uomo e il mare attraverso i secoli

Conferenza del professor Tusa sul patrimonio archeologico subacqueo in Sicilia

 
 
09 dicembre 2012
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Un viaggio nell'archeologia subacquea alla scoperta del rapporto tra l'uomo ed il mare nei diversi secoli. Ad illustrarlo, e non poteva essere altrimenti, l'archeologo e Sovrintendente del mare della Regione Siciliana, Sebastiano Tusa intervenuto al CutganaTalk, che si è tenuto nei locali della Città della Scienza, sul tema "Il patrimonio culturale subacqueo in Sicilia e nel contesto mediterraneo". Tusa, una delle massime personalità a livello mondiale nel campo dell'archeologia subacquea, ha intrattenuto la platea di studiosi, docenti, studenti ed interessati con una lectio magistralis di elevato spessore corroborata dalla proiezione di affascinanti diapositive e ricostruzioni nel corso dell'evento organizzato dalla Fondazione Cutgana e coordinato da Piero Maenza, direttore del  Cutgana Bollettino. Ad aprire i lavori il biologo Angelo Messina, il quale ha evidenziato la storia geologica "recente" del mar Mediterraneo "ricchissimo di biodiversità ed in particolar modo di quello siciliano così come dimostrato dalla presenza del 90% della fauna marina italiana". Il prof. Messina, poi, si è soffermato sul ruolo delle aree marine protette italiane che "tutelano appena il 10% dello specchio acqueo italiano ed in cui è presente un patrimonio sommerso importante che deve essere non solo studiato, ma soprattutto fruito. Questo è uno degli obiettivi che cercano di realizzare le aree marine protette, nonostante le difficoltà economiche in cui versano a causa del disinteresse delle istituzioni regionali e nazionali".

A seguire Edoardo Tortorici, ordinario di topografia antica dell'Università di Catania, ha rievocato la figura di Nino Lamboglia, fondatore dell'Istituto Internazionale di Studi liguri e direttore dell'istituto sperimentale di archeologia sottomarina, il quale "diede vita alla ricerca scientifica archeologica subacquea in Italia e nell'area mediterranea" ed in particolar "della Sicilia che nella storia è stata sempre strategicamente importante sul piano commerciale e della diffusione della cultura". E su Tusa ha evidenziato "che ad oggi rappresenta un indiscusso punto di riferimento per l'archeologia subacquea sia in Italia che all'estero, estrinsecandosi la sua attività anche in altre nazioni quali Australia, Giappone, Libia". 
Poi, spazio al prof. Tusa, il quale, alla presenza del direttore del Cutgana, Maria Carmela Failla, ha posto l'attenzione sulla "storia della Sicilia che si comprende e si giustifica se la si guarda nel contesto del mar Mediterraneo, un mare quantitativamente insignificante, che costituisce soltanto lo 0,7% del contesto acqueo del pianeta, ma attraverso il quale ancora oggi transita il 60% del traffico di merci mondiale. La sua importanza non soltanto oggi, ma soprattutto ieri, determina la sua eccezionale ricchezza in termini di patrimonio culturale sommerso".

Un patrimonio che in Italia è stato a lungo trascurato e ignorato dalle sovrintendenze terrestri, così da essere depredato e deturpato, ma che "ha ancora tanto da offrire se si riprende il vecchio insegnamento di Lamboglia, cioè la ricerca scientifica con criterio di sistematicità che consente, anche in siti già noti o depredati, di trovare nuovi elementi, di fare nuove scoperte. Dal punto di vista organizzativo la soprintendenza del mare, certamente, è stata una svolta per la Sicilia, per l'Italia e per il Mediterraneo, per il suo ruolo di struttura centrale con competenza sul mare".
"L'obiettivo fondamentale dell'archeologia subacquea - ha spiegato Tusa - non differisce da quello dell'archeologia terrestre, essendo quello di ricostruire la storia, il rapporto tra l'uomo e l'ambiente, in questo caso tra l'uomo e il mare, attraverso la decodificazione dei dati, delle testimonianze che possiamo trovare sotto il mare". Per l'archeologo palermitano quello tra l'uomo e il mare "è un rapporto che è sempre stato di amore ed odio, caratterizzato da rispetto, timore, ma anche sfida. Ed è proprio grazie a coloro che hanno vissuto e vivono il mare, in particolare oggi ai pescatori di spugne ed alla loro minuziosa scansione dei fondali marini, che l'archeologia subacquea ha potuto realizzare le più grandi scoperte nel Mediterraneo, relitti di inestimabile rilevanza storica da essi consegnati alla scienza".

"Gli studi storici sull'alimentazione hanno consentito di fissare nel Mesolitico la 'scoperta' da parte dell'uomo del mare, delle sue biomasse, delle sue capacità nutrizionali e questa collocazione cronologica, tra 7000 e 8000 anni fa, trova riscontri un po' in tutte le aree del Mediterraneo analizzate" ha riferito Tusa, secondo il quale "è possibile affermare che la nostra civiltà, fondamentalmente basata su radici di tipo agropastorale, deve tutto al mare, perché fu il mare a determinare la sedentarietà delle popolazioni nelle zone rivierasche del Mediterraneo, quella sedentarietà che è alla base della pastorizia e dell'agricoltura".
Il mare, quindi, viene in considerazione, secondo il docente, come serbatoio di biomasse, ma ben presto anche come veicolo di collegamento commerciale ed etnico, ponendosi nel Neolitico come principale canale per la colonizzazione. "Dagli studi relativi alla diffusione dell'ossidiana - ha chiarito Tusa - si intrecciano le rotte del Mediterraneo che indicano i primi collegamenti marittimi, le prime vere trame commerciali. Proprio negli ultimi giorni è stato trovato nei pressi di Capri un carico di ossidiana databile al Neolitico". "In quel periodo storico - ha continuato - la corsa all'ossidiana determinò la colonizzazione delle piccole isole nel Mediterraneo, facendo sì che l'uomo diventasse navigatore e scopritore di nuove terre. Furono, poi, i metalli a dare il via a veri e propri sistemi mercantili, cioè sistemi socio economici basati principalmente sul commercio marittimo, il primo dei quali fu quello miceneo che si estendeva per gran parte del Mediterraneo." Il mare fu, quindi, attore fondamentale dello sviluppo socio economico di alcune civiltà dell'Egeo, ma soprattutto di diffusione culturale nel Mediterraneo centrale ed occidentale. "In Sicilia l'insediamento di Thapsos, nei pressi di Siracusa,  - ha illustrato Tusa - presenta evidenti influenze culturali orientali e l'urbanistica degli insediamenti ricalca quasi fedelmente quella delle città micenee."

"Nel controllo delle rotte marittime del Mediterraneo - ha continuato l'archeologo - ai Micenei succedettero i Fenici, con l'emergere poi di Cartagine come città fondamentale dell'ecumene fenicio punico. Successivamente i Romani stabilirono per la prima volta una regolamentazione legislativa, configurando così un ordine normativo ed assicurativo".
Il prof. Tusa è poi passato a delineare la storia dell'archeologia subacquea moderna collocando il suo inizio nel dopoguerra, quando "Nino Lamboglia, insieme a Fernand Benoît capiscono che attraverso un appropriato studio dei reperti tratti dal mare è possibile non soltanto "riempire" musei, ma ricostruire la storia. Ma il salto di qualità si realizzò grazie all'americano George Bass che, chiamato a decodificare dei reperti orientali rinvenuti all'interno di un relitto sui fondali marini della Turchia, si sottopose ad un corso di subacquea di tre mesi, diventando così il primo vero archeologo subacqueo. In Sicilia i pionieri di questa disciplina furono Vincenzo Tusa, Madeleine Cavalier e Luigi Bernabò Brea".

"Proprio grazie al caso giuridico sorto da una statuetta di una divinità fenicia ritrovata nel mare di Sciacca e la cui divulgazione si deve a Vincenzo Tusa, - ha spiegato l'archeologo - si delineò nella nostra legislazione il principio di tutela secondo il quale qualunque oggetto di interesse archeologico rinvenuto in mare da una nave battente bandiere italiana in qualsiasi parte del mondo è patrimonio comune dello Stato, regola che si contrappone alla "salvage law" inglese, secondo la quale qualsiasi cosa viene recuperata dal mare diventa di chi la recupera se non c'è nessuno che ne reclama la proprietà".
"Oggi lo strumento metodologico e legale usato dalla nostra disciplina - ha detto Tusa - è la Convenzione Unesco, che stabilisce alcuni principi fondamentali. Quello secondo il quale il patrimonio culturale sommerso, sia in acque nazionali che internazionali, è patrimonio comune dell'umanità e come tale va trattato attraverso la cooperazione internazionale. Inoltre, un altro punto fondamentale della Convenzione è quello della scientificità per il quale la ricerca deve essere svolta da professionisti, cioè da archeologi".

Tusa, evidenziando come l'evoluzione delle tecniche di immersione e delle strumentazioni per la ricostruzione dei fondali abbia consentito nel corso degli anni di ampliare gli ambiti della ricerca del settore e di migliorarne gli esiti, ha mostrato all'assemblea significative immagini di resti di città sommerse, relitti, reperti di vario genere, che esemplificano i rilevanti risultati scientifici ottenuti negli anni dall'archeologia subacquea. Significativo ed affascinante lo studio che ha permesso di individuare la locazione della battaglia navale delle Egadi, che pose fine alla prima guerra punica nel 241 a.C. "Risale agli anni 70 - ha raccontato il prof. Tusa all'attenta platea - il ritrovamento della cosiddetta "nave di Marsala", una nave da guerra considerata appartenente alla flotta punica. Ma è grazie a ricerche recenti realizzate con l'ausilio di strumentazioni di origine militare, quali sonar radiali e laterali, che si è riusciti a ricostruire i fondali, a recuperare ben 10 rostri di navi puniche e romane che hanno consentito di ricostruire con esattezza l'area dell'epicentro della battaglia".